Kairòs 24 maggio 2025: Atti del Convegno
Kairòs 2025: Difendere la nostra humanitas
Atti del convegno (versione pdf per stampa)
INDICE
Lectiones
- Difesa nel mondo: 3 anni di guerra sul fianco est della NATO: origine, situazione e prospettive (Guglielmo Miglietta 77-80)
- John Boyd e il ciclo OODA: Observe, Orient, Decide, Act (Maurizio Maria Renganeschi 78-81)
- Lungo i Sentieri della Mente: una riflessione neuroscientifica sull’adolescenza in uniforme (Prof. Emiliano Ricciardi; Giuseppina Gifuni 14-17)
- Difesa in Italia: Carabinieri! (Antonio Jannece 81-84; Arturo Guarino 84-87)
Manifesto delle Nuove Generazioni
- Sintesi dei contributi (Ruben Gravante 07-10 – Capitano GdF)
- Pio Fogliame 15-18 – Capitano Ingegnere Civile Aeronautica Militare
- Carlo Loiudice 13-16 – Capitano E.I. Genio Guastatore
- Carlo del Signore 13-16 – Capitano GdF
- Vittorio Tesoro 14-17 – Tenente CC
- Mattia Girardi 12-15 – Senior Associate presso The Boston Consulting Group
- Tommaso Formichini 20-23 – Studente Universitario
- Guglielmo Brancato 13-16 – a) Produttore cinematografico e Regista, b) Cybersecurity
A colpi di penna: Ex Allievi che scrivono
- Amore, anomalia dell’Ordine Naturale (Pierfederico Tedeschini, 08-11)
- Una fiamma d’argento in guerra. Storia e memorie di un carabiniere reale 1915-1917 (Paolo Pozzato – Flavio Carbone 84-87)
- I capi e la loro preparazione morale alla funzione del comando (Ferdinando Scala 84-87)
- Guerra economica: Modelli decisionali e intelligence economico finanziaria (Massimo Franchi – Alberto Caruso de Carolis 81-84)
- Chissà (Giovanni De Leva 77-80)
- I Trecento della Locusta – Storie non raccontate (Antonio Urbano 69-72)
- Come si cambia – Memorie Vomeresi (Antonio Ricciardi 67-71)
Saggi
- I doveri tra fedeltà, disciplina, onore e responsabilità (conversazione di un magistrato nel 150simo anno Unità d’Italia alla SMN, da Peppino Catenacci 53-56)
- Immaginare di essere un principe (i Large Language Model nel tardo Rinascimento, Nicco Serao)
- Difendere la nostra humanitas (Ivan Solla, 98-99)
Poesie
- Difendere la nostra humanitas (Ivan Solla, 98-99)
- ASCOLTA! (Ivan Solla, 98-99)
Foto
- Un anno di lavoro? (Fabrizio Giulio 84-87)
- Alpinismo globale (Simone Giannuzzi 81-84)
- I 300 della Locusta nel Golfo (Antonio Urbano 69-72)
- Borromini vs Sanfelice (Annunziato Seminara 60-64)
Video
- Consegna della spilletta Associazione (Giuseppe Catenacci 53-56, Fulvio Campagnuolo 79-82, Ivan Solla 98-99)
- Saluto ai partecipanti (Ruggero Razza 95-98)
Lectiones
Difesa nel mondo: 3 anni di guerra sul fianco est della NATO: origini, situazione e prospettive (Guglielmo Miglietta 77-80)
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Abstract
In questi ultimi tre anni, il Comando operativo delle Forze Alleate di Brunssum in Olanda è stato al centro del più significativo processo di adattamento che la NATO abbia attraversato dalla sua fondazione. L’invasione dell’Ucraina nel 2022 ha ridefinito lo scenario operativo e il concetto di minaccia, imponendo una veloce e profondo ripensamento delle priorita’ dell’Alleanza, che in un certo senso dovra’ riappropriarsi del suo tradizionale approccio al concetto di difesa collettiva, dopo decenni di adattamento in funzione Peace keeping.
***
Sono passati più di tre anni dall’invasione Russa in Ucraina. Un periodo storico lunghissimo, se messo in relazione con la velocità alla quale si muove il mondo moderno, ormai post-globale.
Prima ancora di iniziare, vorrei, dunque, che ci ponessimo una domanda, che dovrebbe servire a metterci nella giusta disposizione d’animo per il resto della discussione che spero possa essere interessante.
Perché affrontare questo tema oggi, quando forse la nostra attenzione sta deviando verso altre parti del mondo, la cui pacificazione sembra se possibile ancora più lontana … medio oriente, Gaza …?
……………La risposta che suggerisco e’……………………
In primo luogo, per dedicare quache minuto della nostra giornata a riflettere ………….
Sembra una risposta un po’ semplicistica, ed in effetti lo e’ … ma e’ proprio cio’ che serve, per valutare tematiche complesse e formare un pensiero ragionato e possibilmente compiuto.
Oggi, la situazione in Ucraina, dopo anni di imprevedibilità, sta lentamente assumendo tratti distintivi più comprensibili e … forse … è giunto il momento di definire questo pensiero compiuto, per giudicare con serenità e lungimiranza gli sviluppi a breve termine che necessariamente dovremo orientare, come Paesi europei e come alleati della NATO.
Questa riunione si propone quindi come un momento di riflessione, in un’epoca spesso caratterizzata da “eccesso” di informazione, e dove la presenza capillare di cronisti rende le notizie spesso “invasive” e quasi mai “conclusive”, soprattutto in contesti ad alta volatilità.
Nel corso della trattazione che seguirà, cercherò di tratteggiare i fatti principali degli ultimi tre anni, e fornire una possibile chiave di lettura del futuro incerto che ci attende …
Futuro incerto a cui ormai dobbiamo abituarci: nel mondo post-globalizzazione cui prima accennavo, gli eventi si sovrappongono su scale temporali e geografiche diverse e non si dipanano più linearmente; … circostanze straordinarie e imprevedibili cambiano i paradigmi sociali e di sicurezza con rapidità sconcertante; … le previsioni sempre poco affidabili diventano mere speculazioni da parte di ogni analista … da quelli piu’ preparati a … quelli un po’ improvvisati.
Bene …… entro ora nel merito del tema proposto…..
Gli ultimi 5 anni sono destinati a diventare un capitolo fondamentale dei libri di storia, per l’unicità degli eventi che li hanno caratterizzati …
La pandemia da COVID prima, l’invasione della Russia in Ucraina dopo, hanno riportato indietro le lancette del tempo, a momenti di un passato lontano, quando valori come una buona salute pubblica o le libertà fondamentali dell’individuo, che oggi diamo per scontati, erano ancora terra di conquista.
Possiamo affermare che la globalizzazione, per come la intendevamo, si sia realizzata. E’ evidente che oggi il mondo stia attraversando una fase di transizione ancora più profonda, nel senso più compiuto e “globale” del termine, e seguendo quel processo “non lineare” a cui accennavo poc’anzi.
Quindi nascono spontanee delle domande:
- come ne usciranno gli attuali assetti geopolitici (e come ne usciremo noi come cittadini del mondo occidentale) da questa transizione?
- e quali saranno le sfide che ci troveremo ad affrontare prima di approdare ad una nuova fase di stabilita’?
Domande molti difficili … Un elemento certo e’ che, in questo contesto, le Forze Armate nazionali e la NATO, come Alleanza Politico-Militare, stanno ricoprendo un ruolo importante, dopo anni di dibattiti in merito alla necessità stessa di mantenere vivi tali apparati.
In qualità di Comandante Operativo della NATO, responsabile delle azioni di deterrenza e difesa dell’Alleanza per l’Europa Centrale, Settentrionale e Orientale, cercherò di puntare una luce su quanto sta accadendo nel nostro Continente, dal punto di vista della NATO, che rappresenta la sintesi della visione dei 32 Paesi membri.
NATO 1949-2025
Per stabilire un terreno solido su cui costruire il ragionamento, devo necessariamente partire da un brevissimo inquadramento storico, dalla fondazione dell’Alleanza ad oggi.
Nel 1949, nell’immediato dopoguerra, viene siglato il “Patto di Washington”, ed i Paesi costituenti danno vita all’Alleanza Atlantica e, di fatto, alla “guerra fredda”.
Guerra fredda che continuera’, sotto varie forme e con strategie diverse per 40 anni, fino ad arrivare al 1989-1991, quando la caduta del muro di Berlino ed il collasso dell’Unione Sovietica ci pongono per la prima volta davanti a dubbi esistenziali:
- serve ancora la NATO? e
- per quanto ancora l’URSS costituira’ un problema per l’occidente?
All’epoca non vi fu una risposta univoca, e si procedette cautamente …
La NATO inizio’ un processo di ampliamento e partnership.
Con un radicale mutamento di approccio, ci si allontano’ dalla “ragione d’essere” dell’Alleanza, costituita dal principio della “Collective Defence” dell’Art.5, che sembrava non piu’ cosi’ importante … per passare alle “Military Operations Other Than War”, poi denominate “Peace Support Operations” o “Crisis Response Operations”.
Da Forze Armate ottimizzate per la guerra statica a Forze Armate … perdonate l’ossimoro, faccio fatica io stesso … di Pace.
Nel 1995 il primo grande intervento in tal senso, in Bosnia. Poi il Kosovo …
Sembra a questo punto che la situazione internazionale sia caratterizzata dalla necessita’ di intervento di Organizzazioni Governative, Internazionali o Regionali, per il mantenimento della pace, al fine di accompagnare i Paesi in trasformazione verso un ordine globale.
All’inizio del XXI secolo, pero’, la situazione cambia repentinamente.
Nel 2001 l’improvviso attacco terroristico agli Stati Uniti determina un nuovo cambio paradigmatico. E le certezze di un mondo che presto sarebbe stato liberale e democratico si infrangono nel giro di pochi minuti.
Per la prima volta dalla costituzione dell’Alleanza, viene chiesta l’attivazione dell’Art.5, che prevede il meccanismo automatico per cui tutti i membri contribuiscono collettivamente alla difesa dell’alleato sotto attacco.
La NATO scende in guerra, ma non contro un attore statuale propriamente inteso: la NATO dichiara la “Guerra al Terrorismo”.
Nel frattempo la Russia e la NATO stavano compiendo timidi tentativi di avvicinamento, con risultati anche molto positivi: il 6 giugno 2011, l’Alleanza Atlantica e la Russia parteciparono ad un’esercitazione aerea congiunta, che seguiva, di pochi giorni, un’esercitazione navale.
Ma poi, nel 2014, l’annessione della penisola di Crimea e nel febbraio del 2022 l’invasione Russa in Ucraina.
Sembra quasi che il ciclo si chiuda, e dopo un periodo in cui la credibilita’ (e la ragione d’essere stessa) della NATO era stata messa in forte dubbio, siamo di nuovo al punto di partenza, coinvolti in una “nuova guerra fredda”.
Volendo fare una affermazione forte, mi sento di dire che si, di fatto, siamo gia’ coinvolti in una guerra. Ma di altra natura, dove gli attori possono essere anche non statuali, anche semplici individui, e dove gli strumenti stessi della guerra possono essere in larga misura non convenzionali.
E’ la c.d. guerra ibrida, condotta da avversari che utilizzano simultaneamente un mix di armi, tecniche e tattiche convenzionali, irregolari, terroristiche in uno spazio di battaglia che comprende tutti i domini operativi, in particolare quello cyber, che offre la possibilita’ di raggiungere risultati significativi anche con investimenti limitati.
Il 2014
Fatte queste debite premesse, iniziamo l’analisi degli eventi piu’ salienti del recente passato:
- il 28 febbraio 2014 inizia un’opera “interna” di ritorno alla sfera di influenza russa della Crimea;
- il 6 marzo 2014, la penisola, che Chruščëv aveva ceduto a Kiev nel 1954, dichiara di voler diventare parte della Federazione Russa.
Le alternative che si aprono sono sostanzialmente due:
(1) la prima: la secessione formale della penisola dal resto dell’Ucraina, con la nascita di due Stati indipendenti e separati e la possibilità di un ritorno della Crimea alla sovranità russa;
(2) la seconda: l’attribuzione alla Crimea di una qualche forma di autonomia all’interno del “nuovo” Stato ucraino.
Delle due, la prima: a partire dal 21 marzo, a meno di un mese, la Crimea è di fatto parte della Federazione Russa.
All’epoca, i principali attori internazionali si sono rivelati piuttosto timidi nel prendere una posizione chiara rispetto a queste due alternative:
- Nell’Unione Europea, Il reticolo di interessi che legava Mosca all’Europa era saldo, e andava oltre la mutua dipendenza in campo energetico.
In assenza di una convergenza di tutti membri, l’UE disponeva di una capacità di pressione limitata.
La frammentazione del fronte europeo intorno al tema delle sanzioni era causa di immobilismo.
- La NATO, defilata nelle fasi iniziali della crisi, poiche’ veniva da un’esperienza tutto sommato positiva di cooperazione con la Russia, ha invece alzato gradualmente il proprio profilo.
Dopo i primi movimenti delle forze russe, l’Alleanza ha dispiegato assetti per monitorare la situazione e garantire la sicurezza dei suoi membri orientali, in particolare Polonia e Romania.
La NATO assume, pertanto, una posizione all’avanguardia rispetto al resto del fronte occidentale, iniziando un nuovo periodo di forte antagonismo con Mosca, rafforzato anche dalla scelta del nuovo governo ucraino di riportare il tema dell’adesione all’Alleanza al centro della propria agenda politica.
I Paesi alleati hanno successivamente perfezionato la loro posizione, e deciso di sospendere ogni pratica di cooperazione con la Russia, lasciando però aperti i canali di comunicazione politici e militari.
La NATO dopo il 2019
Andiamo, pero’, avanti velocemente al 2019.
Macron in un’intervista all’Economist avverte l’Europa: “La NATO sta diventando cerebralmente morta. L’America sta allentando il proprio interesse nel progetto Europeo. E’, quindi, arrivato il momento di svegliarsi”.
Il Presidente francese aveva ragione: ha avvertito i Paesi europei che non si poteva più fare esclusivamente affidamento sugli Stati Uniti per difendere l’Europa. La morte cerebrale della NATO stava portando l’Europa “sull’orlo di un precipizio”.
Nel 2019, quindi, si afferma a gran voce, riprendendo concetti già sentiti sin dalla sua costituzione, che l’Europa deve pensare a sé stessa come entità geopolitica …
In tal senso, credo a tutti venga alla mente la sprezzante citazione che descriveva l’Europa come “gigante economico e nano politico”. Appare evidente come, purtroppo, la storia passata dell’Unione, in termini di politica estera e di difesa comune, possa trovare in questo aforisma una definizione piuttosto efficace.
La Crimea non è abbastanza
Ritornando al conflitto Russo-Ucraino, non era impossibile prevedere che la Russia non si sarebbe fermata dopo la Crimea …
L’Ucraina è vista dalla Russia come uno spazio naturale di influenza, per una serie di fattori storici, geografici e culturali. In particolare, la vicinanza geografica, la storia condivisa come parte dell’Unione Sovietica, la presenza di una comunità di lingua russa in Ucraina e le risorse naturali del paese rendono l’Ucraina, da sempre, un territorio di importanza strategica per la Russia.
E’ evidente, inoltre, come l’Ucraina sia ricca di risorse naturali … l’accordo siglato con gli Stati Uniti per il loro sfruttamento definisce chiaramente questo aspetto rilevante del Paese.
Inoltre, l’Ucraina si trova in una posizione strategica, con accesso al Mar Nero, e la Russia ha spesso espresso preoccupazione per la sua eventuale adesione alla NATO e al suo desiderio di allineamento al mondo “Occidentale”.
Dopo avere preso possesso della penisola di Crimea, la politica di influenza russa ha quindi continuato ad esercitare grandi pressioni sul Paese, utilizzando strategie diverse dalla forza militare: la propaganda, il sostegno a movimenti politici, il controllo dei media e la creazione di una fitta rete di interessi economici.
La “concorrente” e contraria azione del mondo occidentale ha prima rallentato e poi reso evidentemente impossibile il disegno russo di completare il processo di espansione del controllo avviato con l’invasione della Crimea.
Questa necessità strategica, corroborata dal mai sopito mito della “fortezza sotto assedio”, mito principalmente israeliano, ma ricorrente nella narrativa “vittimista” russa, nel febbrario del 2022 hanno spinto la Russia a riprendere apertamente le ostilità, mascherandole come un’azione difensiva, resa necessaria per difendere la minoranza russa in Ucraina.
La Guerra ritorna in Europa
Il 24 febbraio 2022 la Russia entra in Ucraina con ingenti forze di terra.
Ma la situazione internazionale, rispetto al 2014 e dopo le provocazioni francesi, è cambiata.
E’ interessante vedere come nel 2022 i media globali parlano finalmente di Europa proprio in termini di “realtà geopolitica”, per la prima volta senza aggiungere aggettivi derisori.
Gli attori principali dello scenario internazionale sono finalmente piu’ decisi a prendere iniziative.
Europa, NATO e, per quanto possibile, le Nazioni Unite iniziano un processo di opposizione all’unilaterale e ingiustificata azione Russa.
I cambiamenti negli equilibri europei sono importanti e repentini:
- Finlandia e Svezia, con una lunga storia di neutralità, chiedono improvvisamente di aderire alla NATO, e vi entrano in pochi mesi;
- il Regno Unito, che si riteneva irreparabilmente coinvolto economicamente a causa dei forti investimenti russi nel Paese, sfratta gli oligarchi e la loro ricchezza;
- la Germania annuncia una nuova era, avviando massicci investimenti nella difesa, inviando armi all’Ucraina e cercando di interrompere la sua profonda dipendenza dal gas russo.
L’Unione Europea nel suo complesso si dimostra, per la prima volta, capace di agire come un attore geopolitico, attuando massicce sanzioni economiche e fornendo ingenti capitali in aiuto alla sicurezza di un paese esterno.
L’ipotesi prevalente tra gli analisti era pero’ che l’Europa fosse ancora debole e si riteneva che questa (ri)trovata unità si sarebbe presto spezzata.
Si temeva, infatti, che i milioni di migranti ucraini potessero innescare una reazione populista incontrollabile, e che l’aumento dei prezzi dell’energia e del costo della vita spingessero alcuni paesi a cercare una rapida fine del conflitto, rompendo con l’Ucraina e gli Stati Uniti. Inoltre, si temeva che l’Europa e la sua economia non avrebbero superato l’inverno senza il gas russo.
Ma l’Europa ha tenuto duro e si è adattata.
La risposta dell’Europa ha dimostrato che l’Unione e’ in grado di agire con fermezza, e che la forza e la resilienza della democrazia “condivisa” e’ un valore aggiunto.
Le democrazie europee hanno evidenziato competenza e determinazione nel mettere in campo una serie di azioni ragionate e coordinate: dall’invio di armi in Ucraina alla rapida messa in funzione di infrastrutture per la gestione di gas naturale liquefatto.
Nei fatti, possiamo affermare, con una considerazione tanto triste quanto realistica, che la guerra ha rafforzato l’Unione Europea, portandola ad un livello di coesione mai sperimentato, escludendo efficacemente minoritarie voci discordanti. Anche l’Alleanza Atlantica nel suo complesso ha visto un rafforzamento del suo potere, sebbene allo stato attuale i rapporti di forza tra gli Alleati europei e gli Stati Uniti, da sempre massimi contributori del sistema di sicurezza euro-atlantico, siano in una fase di ridefinizione, che presumibilmente uscirà con maggiori dettagli dal Summit che si terrà nel mese di giugno in Olanda.
Unione di intenti
Il mondo occidentale ha avuto, quindi, la capacita’ di reagire in maniera determinata e coordinata all’invasione militare in Ucraina, che ha segnato il ritorno della guerra “classica” in Europa.
Unione di intenti che, pero’, qualcuno ha bollato come figlia di un “pensiero unico” al quale ci si doveva ribellare.
Non è certamente questa l’occasione per una disamina approfondita di questo aspetto, ancora troppo “caldo”, né posso, in qualità di Comandante Operativo della NATO, addentrarmi nelle pieghe ideologiche, di questa tematica.
Voglio solo suggerire l’approccio che considero migliore, per giungere a delle valutazioni solide in merito all’attribuzione di ruoli e responsabilita’ ai vari attori coinvolti: se semplifichiamo i termini dell’equazione, “tolto tutto”, il 24 febbraio 2022 rappresenta, di fatto, un’invasione, armata, di un paese sovrano.
Tutte le considerazioni successive non possono che partire da qui.
Anche il concetto per cui la Russia non aveva altre opzioni, per il continuo espandersi dell’Alleanza Atlantica verso est in seguito al collasso dell’Unione Sovietica … non tiene. In realta’ e’ facile osservare come non sia stata la NATO a spingersi verso est, ma i Paesi dell’ex patto di Varsavia a scegliere, liberamente, di aderire ai valori e allo stile di vita occidentali.
l’Alleanza Atlantica ha contribuito “passivamente” a questo processo, mostrando i vantaggi derivanti dalla condivisione dei principi di democrazia e liberta’, e perseguendo un’unità politica che era venuta un po’ meno negli anni precedenti.
Unita’ politica che gli Stati Uniti hanno dimostrato con un rinnovato impegno nella difesa dell’Europa, mentre i Paesi europei affermando la chiara volontà di riprendere seriamente la discussione in merito alle spese per la difesa.
Questa convergenza di intenti ha garantito un approccio sinergico nell’aiuto all’Ucraina, sia politicamente che dal punto di vista degli aiuti militari, nonostante il chiaro vincolo della “non belligeranza” della NATO nel conflitto.
I Paesi membri hanno agito a titolo individuale, ma uniti da quei valori di democrazia e difesa dei principi cardine del diritto internazionale che sono, da sempre, i concetti fondanti dell’Alleanza.
Dal punto di vista strettamente militare, invece, e’ interessante notare come nelle poche ore successive all’invasione Russa, la NATO abbia dispiegato parte della sua Forza di risposta e attivato i piani di difesa, un unicum dalla costituzione dell’Alleanza, al pari dell’attivazione dell’art.5 nel 2001:
- il 24 febbraio: la Russia invade l’Ucraina, lo stesso giorno il Consiglio Atlantico emana la direttiva per la esecuzione della parte 1 dei Piani di Difesa Europei della NATO;
- il 25 febbraio: il Comando Supremo della NATO dirama gli ordini discendenti;
- il 27 febbraio: i Piani sono attivati da parte dei Comandi Operativi, tra cui Brunssum, che assume la responsabilita’ degli oltre 2500 chilometri di confine con la Russia e la Bielorussia.
In conseguenza, vengono schierate migliaia di truppe: oltre 40.000 soldati, insieme a mezzi aerei e navali, sotto il comando diretto della NATO, nella parte orientale dell’Alleanza, supportati da altre centinaia di migliaia di unita’ provenienti dalla difesa nazionale dei paesi alleati.
La NATO costituisce rapidamente quattro nuovi gruppi tattici multinazionali, li avete visti nel video iniziale di presentazione, in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia, che si sono aggiunti a quelli già esistenti in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.
Successivamente, in poco più di tre mesi, al vertice di Madrid del giugno 2022, gli Alleati concordano un cambiamento fondamentale nella strategia di deterrenza e difesa della NATO, avviando:
- il rafforzamento delle difese avanzate;
- l’innalzamento del livello ordinativo dei Gruppi Tattici fino al livello di Brigata;
- la trasformazione della Forza di risposta della NATO
- e l’aumento delle forze ad alta prontezza a oltre 300.000 unità.
A testimonianza del rinnovato impegno europeo, gli Stati Uniti hanno organizzato un “ritorno in Europa”, con un dispiegamento complessivo di 100.000 uomini, dopo anni di discussioni in ottica riduttiva. Sebbene ora, e come detto, dopo il SUMMIT avremo le idee più chiare, sarà interessante vedere l’approccio dettato dalla nuova Amministrazione Statunitense che non ha mai nascosto l’obiettivo di ridurre l’esposizione americana nel nostro continente, ritenuta sproporzionata …
In ogni caso, allora questi movimenti hanno costituito la più grande revisione della difesa collettiva e della deterrenza alleata dai tempi della Guerra Fredda.
La sfida per la NATO era duplice: difendere gli alleati “confinanti” con la Russia, e sostenere l’Ucraina.
Finora, la risposta della NATO ad entrambe le problematiche è stata vigorosa e duratura.
L’Alleanza ha subito un’intensa pressione nel corso dei mesi, reagendo bene, dallo shock iniziale, assorbito nell’immediato durante il vertice di Madrid, al vertice di Vilnius, a luglio del 2023, nel quale gli Alleati hanno adottato ulteriori misure per rafforzare la deterrenza e la difesa ed approvato i nuovi piani di difesa sia dalla Russia che dai gruppi terroristici, fino ad arrivare al SUMMIT di Washington, lo scorso anno, nel 75 anniversario della costituzione.
Come prima accennato, la guerra ha reso nuovamente coesa la NATO, che ha superato uno dei periodi piu’ difficili della sua storia affrontando le difficolta’ e le sfide in comunione di intenti, mantenendo sempre il pieno controllo delle reazioni, a livello di Alleanza e di singoli Paesi e includendo rapidamente Finlandia e Svezia tra i Paesi membri.
Non possiamo non osservare, pero’, che queste reazioni sono avvenute in un periodo di profonda crisi; e ogni crisi non puo’ durare in eterno, pena la trasformazione di un male dalla sua forma acuta a quella cronica, non piu’ curabile efficacemente …
L’aumento dei prezzi dell’energia,la riduzione della libertà di movimento, gli incidenti alle infrastrutture energetiche e di rete, alcuni “effetti collaterali” nei paesi membri, faccio riferimento al missile caduto in Polonia ed ai droni russi precipitati in Romania, il titubante approccio di Ungheria e Turchia nel ratificare l’adesione alla NATO di Finlandia prima, e Svezia poi, potevano alla lunga minare la solidita’ raggiunta.
La corale reazione “di pancia” di tutta la popolazione europea alla brutale invasione di febbraio ha garantito la risposta immediata, la somministrazione tempestiva dell’antibiotico, per contrastare l’infezione russa. Era evidente da subito che si dovesse trovare una soluzione definitiva. Purtroppo il tempo é passato … e oggi sono tre anni senza che la crisi ucraina veda reali passi avanti …
Il Summit di Madrid – giugno 2022
Per ritornare alle azioni immediate, intraprese dalla NATO nell’immediatezza dello scoppio della guerra in Ucraina, e in conseguenza del cambiamento paradigmatico prodotto dalla guerra, al Summit di Madrid del 2022 è stato necessario concepire un nuovo Concetto Strategico, documento di riferimento dell’Alleanza nel quale la Difesa Collettiva riassume rilevanza, divenendo una sorta di “primus inter pares” tra i core tasks (insieme a Prevenzione delle Crisi e Cooperazione per la Sicurezza).
Il Concetto Strategico da forma anche al Nuovo Modello di Forza della NATO, che sarà costituito da un insieme integrato di unita’ ad alta prontezza, in grado di condurre operazioni multi-dominio, senza un focus geografico specifico, con una preparazione in grado di fornire efficace deterrenza e difesa su tutta l’Area di Responsabilità della NATO, in primis l’Europa, mantenendo la capacita’ di proiezione in tutto il globo terrestre.
Il Concetto Strategico definisce, quindi, la natura stessa della NATO nel medio termine, delineando l’ambiente strategico in cui l’organizzazione si trovera’ ad operare, individuando le sfide e le minacce alla sicurezza e i compiti principali dell’Alleanza.
Riepilogo brevemente le 8 priorita’ dell’Alleanza per i prossimi 10 anni:
- Democrazia contro autoritarismi: può essere considerato questo il tema principale del Concetto Strategico, subito dopo le premesse sui valori comuni occidentali di libertà, rule of law e diritti.
- La minaccia russa e il primato della deterrenza: “La Comunità euro-atlantica non è in pace”. La minaccia principale per la pace e la sicurezza è la Russia, che non viene più vista come un partner, ma un rivale. È interessante notare,però, che la NATO non ha abbandonato, almeno formalmente, la politica del doppio binario deterrenza-dialogo; infatti l’Atto di Fondazione delle relazioni NATO-Russia del 1997 rimane ancora in vigore. L’implicazione dell’identificazione della Russia come minaccia principale alla sicurezza rendeil Fianco Est della NATO l’area di maggiore interesse strategico per l’Alleanza.
- La Cina, tra competizione e cooperazione: prendendo atto della sfida sistemica all’ordine internazionale a guida occidentale, la NATO ha introdottoper la prima volta nel Concetto Strategico un grande attore statale non appartenente all’area euro-atlantica. Si tratta di una delle principali novità nella strategia della NATO, tanto da far parlare di una “NATO globale”. Peraltro, se la Russia è apertamente definita come “minaccia”, la Cina è una “sfida”. Si è scelta una posizione di compromesso, tra la posizione statunitense (più determinata) e quella europea, basata sulla “consapevolezza” della complessità delle relazioni Cina-resto del mondo. E’ indispensabile, pero’, sottolineare il fatto che non è stato specificato se il mandato della NATO nel rispondere ad azioni cinesi rimanga limitato all’area euro-atlantica o possa estendersi, attraverso la presenza americana, anche all’Indo-Pacifico. In generale, nonostante la Cina venga accusata di “voler sovvertire l’ordine internazionale, la NATO si dichiara “aperta a un impegno costruttivo con la Repubblica Popolare cinese”.
- La cooperazione con l’UE: la NATO mette l’UE al primo posto tra i partner internazionali, definendola come “essenziale”. La cooperazione tra NATO ed UE ha avuto una storia non sempre lineare, oscillando tra il desiderio di cooperare il più possibile e quello, da parte di entrambe le organizzazioni, di affermare la propria identità e unicità. Ora, nonostante la cooperazione NATO-UE sia incentrata principalmente sul soft power, vi è comunque un chiaro incoraggiamento alla creazione di una difesa comune europeadi supporto alla NATO.
- L’articolo 5 rivisitato: il Concetto Strategico 2022 vede anche il richiamo e il rafforzamento dell’articolo 5 del Patto Atlantico, che garantisce la sicurezza collettiva. Tuttavia, se precedentemente era possibile invocare l’articolo 5 solo in un contesto di aggressione armata e scenari che avevano al centro la hard security, il suo campo è stato esteso a terrorismo e minacce asimmetriche, inclusi attacchi cyber.
- Il Fianco Sud: il grande ridimensionato è il Fianco Sud, comprendente essenzialmente l’area Nord Africa e Medio Oriente, del quale si riconosce tuttavia l’essere interessato da grandi sfide, quali la fragilità degli Stati, le migrazioni, il cambiamento climatico, la povertà e il terrorismo. In generale prevale l’idea di un intervento indiretto attraverso la prevenzione e la gestione delle crisi. E’ pero’ da notare come, in un contesto globale iperconnesso, e nell’ambito di conflitti di tipo ibridi, tale “abbassamento” di priorita’ riguardo quest’area strategica sia stato rapidamente sconfessato dagli eventi, come abbiamo visto negli scorsi mesi, con la ripresa delle ostilita’ tra Hamas e Israele, e il successivo allargamento della crisi alla strategica area del Mar Rosso, Iran, Pakistan, Siria e Iraq.
- Porte aperte a nuovi membri: l’Alleanza ribadisce la sua politica di “porte aperte”, sancita dall’articolo 10 del Trattato. Non si escludono dunque adesioni di Ucraina, Moldavia e Georgia, sebbene il Segretario Generale della NATO abbia più volte ribadito l’importanza di soddisfare tutti i requisiti per l’adesione.
- E per ultimo, la necessità per gli USA di mediare e compattare il Fronte NATO: la collaborazione tra Stati Uniti e Paesi europei è efficace solo quando vi è unità di intenti tra le due sponde dell’Atlantico. Le posizioni su questo tema appaiono ancora diversificate: la Francia insiste per un’Europa forte di per sé e indipendente; dall’altro lato, sul Fianco Est, Polonia e Repubbliche baltiche sono tra gli alleati più devoti agli Stati Uniti, in prima linea nel sostenere l’indissolubilità del vincolo transatlantico.
Il Summit di Washington – luglio 2024
Nel comunicato del Summit di Vilnius del 2023, i Capi di Stato e di Governo hanno dichiarato l’intento di affrontare questo momento critico per la sicurezza, la pace e la stabilità internazionali, restando uniti e solidali e riaffermando il duraturo legame transatlantico tra i paesi membri.
Il summit di Washington del 2024 ha rappresentato, invece, la possibilita’ per la NATO di dimostrare a se stessa di aver pienamente interiorizzato la consapevolezza che ci si trovasse di fronte a una decisiva svolta della storia e che la vera posta in gioco fosse la sopravvivenza stessa della democrazia nel mondo.
Al di là dell’affermazione che dobbiamo difendere ogni centimetro del territorio dei nostri Paesi, ribadita a gran voce in questi anni e che appare ovvia … gli Alleati si sono trovati a dover dare risposte compiute alle problematiche relative all’attuazione della nuova architettura di deterrenza e difesa della NATO, e che in primis si traducono in un notevole aumento delle risorse (umane e finanziarie) necessarie per l’implementazione dei piani militari.
In questo processo, tutt’ora in corso (l’Italia ha appena dichiarato di avere raggiunto il 2% del PIL in spesa militare) e’ importante evitare che il conto, necessariamente salato, possa costituire un nuovo punto di possibile scontro tra i Paesi membri, sul quale dover misurare la tenuta e la credibilità dell’Alleanza.
Tutto cio’ richiedera’ grandi sforzi, nei prossimi mesi, di dialogo a livello politico per smussare le diverse posizioni nazionali.
La crisi si allarga
In questo complesso contesto geostrategico, centrato principalmente sull’Europa continentale, abbiamo visto crescere una spirale escalatoria che sta ampliando il campo di attenzione al mediterraneo, al continente africano e al medio oriente.
Negli ultimi anni abbiamo assistito, infatti, ad un contestuale deterioramento di altre aree del mondo storicamente soggette a crisi piu’ o meno forti.
E’ il caso del Sahel, ed in aggiunta, a partire dall’attacco di Hamas a Israele, e in risposta alla fortissima ritorsione nella striscia di Gaza, e’ cronaca di queste settimane quanto sta avvenendo tra Iran, Siria, Pakistan, Iraq e le recenti ritorsioni statunitensi agli attacchi alla base americana in Giordania. Stiamo seguendo in questi giorni, inoltre, lo sviluppo della missione Aspide, volta a scongiurare la contestazione del libero movimento di merci nel Mar Rosso, operato dal movimento antigovernativo Yemenita degli Houthy.
Il conflitto Russia-Ucraina, la Russia, la NATO
Queste, in sintesi, le basi per un’analisi degli eventi e degli attori principali che agiscono nello scenario geostrategico europeo e mondiale.
Nei pochi minuti che restano, cerchero’ di usare un maggiore ingrandimento nei confronti dei principali fattori dominanti della situazione che stiamo vivendo oggi, per cercare di individuare possibili scenari evolutivi del contesto di sicurezza del prossimo futuro.
In questo mondo ormai così interconnesso, però, vedremo come saranno ancora le domande a prendere il sopravvento sulle risposte.
- Il Conflitto Russia -Ucraina.
Ormai sono passati tre anni dall’inizio del conflitto, e i contorni dell’esito del conflitto, benché la fine, appaia finalmente più vicina per la ripresa dei rapporti diplomatici, risultano comunque ancora poco definiti.
Per quanto ne sappiamo, Putin non vuole ancora ridurre la pressione militare, e non considera possibile un negoziato che preveda l’abbandono del Donbass.
Non si puo’ nemmeno escludere che la Russia possa fare un altro tentativo su Kiev, sebbene non ci sia motivo di credere che possa avere più successo della prima volta.
Nonostante alcuni annunci ambigui sulla disponibilità ai negoziati, il Cremlino ha confermato che la Russia è preparata per un conflitto prolungato, includendo la possibilita’ di ulteriori ondate di mobilitazione.
Certo e’ che gia’ la precedente ondata aveva causato una certa insoddisfazione pubblica nei confronti del governo, ed esacerbato le disuguaglianze regionali.
Qualsiasi altra mobilitazione avrebbe un effetto militare limitato, e costituirebbe un rischio politico significativo per Putin, in termini di mantenimento del potere.
Allo stato attuale, in Russia, vi è una sostanziale equivalenza tra chi sostiene ancora la guerra (pur senza opporsi alla possibilita’ di condurre colloqui di pace) e chi invece dichiara apertamente di desiderare che finisca; d’altro canto la determinazione dell’Ucraina a continuare a combattere rimane alta.
- La Russia
Le sanzioni occidentali, che hanno prodotto effetti nel breve periodo, non sembra stiano mantenendo l’efficacia prevista.
È improbabile che la Russia finisca le risorse finanziarie per sostenere la guerra nel 2025, ma la popolazione inizierà a percepirne gli effetti, in particolare nelle aree urbane.
Per ora, le inevitabili difficoltà economiche, l’isolamento, i fallimenti della guerra che si pensava rapida e di successo, l’opposizione alla mobilitazione, hanno aumentato in maniera non significativa il livello della critica interna e il regime non e’ ancora minacciato.
Alcune crepe e lotte intestine sono diventate visibili, ma nessuna, tranne il maldestro tentativo del capo della Wagner, è stata apertamente o direttamente diretta contro Putin, che rimane pienamente in controllo del Paese.
Certo la Russia è in difficoltà, e sta attraversando una nuova (e delicatissima) fase di transizione, per cause economiche interne e per dinamiche globali (allontanamento dai combustibili fossili verso fonti rinnovabili, cambiamento climatico, aumento della dimensione politica internazionale della Cina). Inoltre ha praticamente distrutto il suo modello economico (che poggiava sulla dipendenza energetica dell’Europa), ha contribuito alla creazione di nuovi dilemmi strategici (il Mar Baltico e’ ora praticamente un “lago” della NATO) e ha spinto molti Paesi, inclusa la Germania a cambiare la politica di difesa in senso incrementale.
Queste considerazioni, che potrebbero suggerire una diminuzione del peso della minaccia, purtroppo vanno considerate in senso opposto: in considerazione della specificità culturale, storica e comportamentale, più la Russia diventa debole, più grande diviene la minaccia, specialmente in termini non convenzionali.
Di fatto, oggi, per la Russia non e’ in gioco solo l’affermazione della supremazia locale nelle zone dell’Ucraina contestate, ma la sua stessa sopravvivenza come entita’ socialmente, culturalmente e storicamente definita.
- La NATO.
La NATO e gli Alleati, come detto, hanno reagito bene.
La deterrenza ha funzionato: la missione era di scoraggiare gli attacchi al territorio della NATO. E questi attacchi non ci sono stati. Almeno non per come comunemente intesi.
L’attacco all’Ucraina non si puo’ considerare una sconfitta per le operazioni di deterrenza, non essendo un Paese membro, anzi e’ l’esempio di come sia ancora pericoloso, nel XXI secolo, non fare parte della NATO.
Le speranze di Putin di vedere delle crepe sostanziali nell’Alleanza sono tutt’ora disattese. Le normali e perduranti diversita’ di vedute si sono rivelate ampiamente gestibili.
Europa e Stati Uniti insieme, in sinergia con la NATO, hanno fatto il meglio possibile.
Le sfide economiche rimangono, anche se non così gravi come inizialmente previsto.
Gli Alleati dovranno ora risolvere altri problemi, di natura economica, e coniugare gli sforzi alla necessita’ di mantenere il sostegno all’Ucraina e aumentare la resilienza interna nei confronti delle prevedibili azioni di disturbo ibrido che la Russia continuerà ad alimentare.
Il Fianco Est
Sotto il profilo delle azioni concrete che la NATO ha adottato in risposta all’attacco della Federazione Russa all’Ucraina nel 2014, abbiamo visto all’inizio come si sia provveduto ad un primo rapido rafforzamento del dispositivo di deterrenza e difesa in Europa, con lo schieramento di unita’ terrestri, aeree e marittime.
I Paesi membri hanno dato vita a formazioni da combattimento multinazionali, costituendo l’ossatura della cosiddetta presenza avanzata della NATO, a dimostrazione dello spirito solidale, della determinazione e della capacità di difendere il territorio e i cittadini dell’Alleanza.
L’ingente numero di forze attualmente schierate in Europa, in un certo senso per la prima volta potrebbe rappresentare, in nuce, l’auspicato strumento integrato di difesa europeo, dove ogni paese membro contribuisce percentualmente e in base alle propie specificita’. In aggiunta a questa ristrutturazione delle forze, si assistera’ ad un processo di rinnovamento capacitivo che servira’ a mantenere il vantaggio in termini di “Geografia”, “Dominio operativo” e “Prontezza” che ci ha garantito la necessaria forza di deterrenza dall’Unione Sovietica, e da qualsiasi altro potenziale nemico, dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi.
E’ interessante osservare, per completezza, che questi investimenti non riguarderanno esclusivamente sistemi d’arma e munizioni, ma anche (e forse soprattutto, sotto il profilo finanziario) tutta una serie di complesse opere di adeguamento infrastrutturale che dovranno rendere porti, strade, ferrovie, infrastrutture di rete e di trasporto multimodale aderenti alle mutate necessita’ logistiche di un sistema di difesa integrato che richiedera’ una revisione completa dell’attuale modello logistico della NATO e dei Paesi membri. E’ evidente la ricaduta benefica in chiave dual-use di tali provvedimenti.
La ripresa dei rapporti diplomatici ?
Dopo la brusca interruzione, nel 2022, a pochi mesi dall’inizio della guerra, i rapporti diplomatici tra Ucraina e Russia sono ripresi. Al di là di ogni considerazione in merito ai risultati raggiunti nella riunione di venerdì scorso in Turchia, questa è evidentemente una buona notizia. Se la guerra è la continuazione della diplomazia in altre forme, è evidente che non si può porre fine ad n conflitto se non tramite accordi diplomatici. Peraltro, che questo primo incontro non sarebbe stato quello della svolta, lo si è capito quando Putin ha fatto sapere che in Turchia, dove Zelensky era pronto a incontrarlo, non sarebbe andato.
E se è vero che la ripresa dei negoziati diretti fra russi e ucraini c’è stata e l’intesa sullo scambio di prigionieri (mille per parte) è pur sempre qualcosa, si è rimasti lontani da una tregua, e ancor di più dalla pace. La soddisfazione espressa ai media da entrambe le parti è più di facciata che reale. Il primo incontro, dopo tre anni, non ha visto la partecipazione di chi potrà davvero decidere: Putin e Zelensky, e ha tenuto alla larga il Presidente Statunitense e quello Turco …
Ma per vedere il bicchiere mezzo pieno, e a questo punto appare necessario farlo, almeno le parti si sono viste, e parlate, sebbene evidentemente ognuno nella propria lingua, a testimoniare una differenza culturale che non si vuole lasciar cadere.
Al termine si è rilanciata l’idea di un vertice Putin-Zelensky, ma allo stato attuale non è possibile dire quando avverrà: Putin vuole annettere i territori occupati, Zelensky lotta per l’esatto contrario, e contestualmente per mantenere il controllo sulla politica interna ucraina.
Quindi, nonostante la ripresa delle relazioni sia la notizia migliore possibile, i tempi non sono ancora maturi … la distanza tra le due posizioni è ancora troppa … è interessante però vedere che, anche se rimane la volontà di ognuno di esprimersi nella lingua madre, la parola “pace”, in entrambe, si dice allo stesso modo “mir”.
Il Post Conflict – criticita’
L’Ucraina, dopo tre anni di conflitto sproporzionato, soffre di un livello di distruzione, fisica e sociale, che non ha precedenti dalla fine del secondo conflitto mondiale, reso ancora piu’ grave dal fatto che l’elevato livello di corruzione endemica del paese si e’ innestato in una spirale di forte dipendenza dagli aiuti internazionali.
Come conseguenza, le disuguaglianze territoriali, inevitabili in un paese in difficolta’, si sono ulteriormente acuite: le infrastrutture nelle aree piu’ “contese” a est del paese sono state ridotte del 70%, e di quasi il 40% dove i combattimenti sono stati meno cruenti. I trasporti, le reti di distribuzione energetica e i servizi pubblici sono praticamente azzerati. Sotto il profilo della governance, l’Ucraina non e’ in grado di mantenere uno stato di diritto efficace nella totalita’ delle zone contese con la Russia, rendendo evidenti per eventuali investitori, che ogni intervento sara’ soggetto a forti rischi.
Inoltre, anche dopo un cessate il fuoco, che speriamo possa avvenire molto presto, il paese sara’ probabilmente oggetto di una continuata minaccia ibrida da parte della Russia, con pesanti ricadute sulla sicurezza interna e sulla stabilita’ regionale.
Infine, prima di poter procedere lungo l’auspicato percorso di integrazione dell’Ucraina nei consessi internazionali ristretti, sara’ necessario verificarne la capacita’ di ownership dei processi democratici, al netto dei pesanti interventi internazionali e multilaterali che da anni supportano il paese.
Qualsiasi sia dunque la progettualita’ della ricostruzione post conflict in Ucraina, il dato certo e’ che ogni passo dovra’ essere ponderato con estrema cautela, poiche’ la fragilita’ del sistema paese rappresentera’ per anni un rischio elevato, per un “ritorno di fiamma” difficilmente controllabile. Purtuttavia, appare evidente come continuare il supporto all’Ucraina sia assolutamente necessario, per non vanificare quanto fatto e dimostrare la validita’ dei principi del sistema internazionale liberale e della cooperazione, per come li abbiamo conosciuti negli ultimi 75 anni.
Il Post Conflict – opportunita’
Come sempre, pero’, ogni situazione di grande criticita’ offre anche alcune opportunita’ che, se sfruttate, possono trasformare completamente lo scenario, non solo della ricostruzione post-bellica, ma anche degli equilibri geopolitici del continente europeo.
Un’opera sinergica e coordinata tra i diversi attori che hanno cooperato in questi anni, in diversi ambiti, con diversi mezzi e perseguendo fini diversi ma convergenti, potrebbe ottenere dei risultati straordinari e riaffermare il primato del sistema internazionale basato sul “rule of law”, contro le logiche di aggressione militare che ritenevamo finite nella prima meta’ del secolo scorso.
Solo un’azione congiunta degli attori coinvolti: Unione Europea, Coalizione dei volenterosi, Stati Uniti, NATO … potra’ risultare effettiva per orientare gli sforzi non solo alla ricostruzione “like-for-like”, che pure rappresenta un business non indifferente, e che avrebbe un impatto significativo sull’economia regionale [NOTA: stima di 500 Miliardi di Euro in 10 anni], ma soprattutto per avviare dei processi virtuosi volti a migliorare la stabilita’ interna e la coesione sociale del paese, messi a dura prova dalla guerra, fisica e ibrida, degli ultimi 10 anni.
Le iniziative di ricostruzione dovranno quindi risultare pienamente aderenti ai principi di trasparenza, democrazia e liberta’ dell’ordine internazionale, per supportare il necessario processo di integrazione con l’Unione Europea, premessa necessaria per un futuro solido e prospero del paese, e favorire la stabilizzazione dell’Ucraina e, di conseguenza, della regione.
Contesto Globale – Quali prospettive future?
Quindi, cosa dovremmo aspettarci dal 2025?
La ricaduta del conflitto in Ucraina in una più ampia guerra regionale o globale non può essere ancora completamente esclusa, sembra ormai alquanto improbabile.
Il rischio del ricorso alle armi nucleari rimane uno spettro da non ignorare, ma anch’esso risulta ormai uno scenario poco plausibile, residuale alla sola ipotesi in cui l’esistenza stessa della Russia come tale dovesse essere messa in dubbio. In ogni caso, Putin sa che la decisione di usare armi nucleari non è qualcosa a cui lui, il suo regime e, a questo punto, l’assetto attuale del nostro mondo, potrebbero sopravvivere.
In realtà, nonostante alcuni commentatori diffondano a gran voce soluzioni semplicistiche e “certe” per la crisi, prevedere oggi con esattezza come finirà il conflitto in Ucraina, e le implicazioni dell’aggravarsi della situazione in medio oriente e in Africa, è veramente difficile.
In Europa, allo stato attuale, la vittoria o la sconfitta di una delle due parti presenta uguale probabilità.
Il rischio maggiore è che la situazione si cronicizzi, in una forma di stallo di difficile gestione, una sorta di afganizzazione del centro-europa, che si andrebbe ad aggiungere alla situazione non propriamente rosea che attanaglia parte dei balcani da ormai oltre 20 anni.
In questo caso potremmo forse considerare, almeno nel breve e medio periodo, la possibilità di avere fallito la nostra ultima occasione di trovare il modo di mantenere una pace stabile e duratura nel continente europeo, per convivere con la Russia dopo la dissoluzione dell’URSS.
Questa possibile cronicizzazione appare tanto più dannosa quanto più prendiamo in considerazione le conseguenze del conflitto Ucraino non solo in termini sociali, o interne ai paesi direttamente coinvolti, ma in relazione alla scala internazionale e globale: ne abbiamo visto gli effetti, dalle minacce alla sicurezza alimentare, all’insorgere di crisi in altre aree del mondo.
Il periodico ripresentarsi di rischi di questo genere, insieme al cambiamento climatico, e al particolare sviluppo demografico del continente Africano che alimenterà i processi migratori nei prossimi anni, potrebbe costituire l’innesco di nuove e ancora più importanti minacce alla sicurezza globale negli anni a venire.
L’Europa, la NATO, i singoli paesi membri e partner stanno oggi testando la propria preparazione all’attuale e a future crisi mondiali, ma la forza di reazione e la coesione, sebbene decisamente positive, saranno continuamente soggette ad attacchi, che potranno indurre “fatica” … e la “fatica” genera debolezze locali e porta alla lunga al cedimento di qualsiasi materiale, anche il più resistente.
Il fronte orientale della NATO sta ricevendo ovviamente una grande attenzione, ma ora stiamo affrontando un vera crisi anche nel quadrante sud.
In ordine cronologico, dobbiamo considerare la crescente instabilità nel continente africano (Sahel, Mali, Burkina Faso …), dove Russia e Cina sono già presenti e attivi, presentandosi come partner affidabili e poco sensibili alle evidenti manchevolezze sociali di questi paesi.
Il Medio Oriente non è stabile. L’Iran pone una serie di dilemmi strategici e sociali (armi nucleari, abusi e violenze, diritti civili) e ha già dimostrato di voler alzare la tensione, intervenendo a supporto dei separatisti yemeniti, e contro Pakistan e Iraq.
E poi c’è l’Asia, e in particolare la Cina: agirà contro Taiwan? Possiamo (come comunità internazionale) dissuadere la Cina dall’attaccare un’entità che da sempre considera parte del suo territorio?
Sullo sfondo di tutto questo c’è un “Sud globale” che pensa (a torto o a ragione) che sia ora di cambiare un ordine internazionale troppo favorevole ai paesi sviluppati.
Con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ostaggio del sistema di veto, gli obiettivi di sviluppo che verranno probabilmente mancati, l’incapacità di ottenere risultati reali sul clima, è difficile vedere un prossimo futuro particolarmente roseo.
In questo complesso scenario geostrategico, Russia e Cina rimangono i principali attori antagonisti di un sistema geopolitico a “trazione occidentale” e si pongono come paladini di quella parte meno sviluppata del pianeta che reclama sempre più spazio nei contesti internazionali.
Cosa possiamo fare?
Arrivo quindi a concludere. Cosa possiamo fare?
Come sempre, quando la burrasca scuote la nave, bisogna innanzitutto mantenere la rotta, allineati ad una direzione bussola che sia in linea con i valori di democrazia, pace e libertà che hanno riempito le pagine di storia dei nostri paesi.
Le problematiche sociali che osserviamo nei nostri paesi non possono essere risolte con un ritorno al passato.
E pertanto non dobbiamo rischiare di farci distrarre da falsi miti, o recrudescenze di un mondo illiberale che, per noi occidentali, rappresenta un passato già vissuto, analizzato, superato e definitivamente sepolto.
Le complesse dinamiche e le sfide globali alla sicurezza richiedono proprio questa saldezza d’animo agli attori statuali e alle organizzazioni internazionali.
È necessario che lo scenario sia analizzato mettendo ordine, seguendo giuste prospettive e assegnando priorità: non possiamo perdere di vista le sfide di medio e lungo periodo, ma dobbiamo concentrarci prima sul breve termine, soffermandoci sulle minacce evidenti e piu’ prossime.
E non si tratta solo di comprare carri armati o aumentare le spese per la difesa tout-court.
Sebbene il suo scopo principale sia la difesa dei paesi membri, la NATO non è mai stata un’organizzazione esclusivamente militare: è ora necessario completare il processo di trasformazione avviato a partire dal 1999, quando la fine (apparente) della guerra fredda aveva messo in discussione la natura propriamente bellica dell’Alleanza Atlantica, e migliorare il profilo politico, sottolineato dai valori sociali e culturali condivisi dai paesi membri.
Con la dovuta cautela in relazione agli sviluppi cui potremmo assistere in relazione alla ripresa delle relazioni diplomatiche tre Ucraina e Russia, la NATO dovrà diventare un simbolo di rinnovato collegamento transatlantico, a supporto di un processo culturale che mette insieme gli elementi di civiltà comune dei Paesi membri, per la creazione di un sistema condiviso di pensiero e stile di vita, frutto di secoli di evoluzione storico-sociale, dove a un capo del filo vi siano gli Stati Uniti e all’altro non più singoli paesi ma l’Europa.
La NATO dovrà percorrere la difficile strada di un’istituzione aperta ai cambiamenti, ma ferma nel mantenimento dei suoi valori cardine, e i paesi membri dovranno essere altrettanto solidi per condurre questo processo al traguardo.
Per raggiungere questi obiettivi, che si profilano all’orizzonte, sebbene velati da una nebbia di incertezza, oggi, mai come prima sarà necessaria una visione collettiva delle dinamiche globali, la capacità di impiegare risorse condivise per progetti comuni, e soprattutto la disponibilità di ognuno a rinunciare definitivamente a piccole parti di interesse privato per il bene comune.
Prima di concludere lasciatemi pero’, da Comandante militare, rassicurare tutti voi che l’Alleanza e’, sin da subito, in grado di difendere ogni centimetro del territorio dell’Alleanza nella piena consapevolezza di avere la grande responsabilita’ di dover trasformare tutte le sfide che ci troviamo ad affrontare in opportunita’ per fare in modo che termini come “guerra” e “nemico” che sino a qualche mese fa erano ignoti ai molti possano ritornare ad essere dimenticati.
John Boyd e il ciclo OODA: Observe, Orient, Decide, Act (Maurizio Maria Renganeschi 78-81)
Strategia, innovazione e dominio nel processo decisionale
John Boyd è stato un pilota di caccia, stratega militare e teorico del processo decisionale, noto per aver sviluppato il ciclo OODA (Osservazione, Orientamento, Decisione, Azione). Questo concetto, originariamente concepito per il combattimento aereo, ha avuto un impatto significativo non solo per le operazioni militari, ma anche in ambito aziendale, tecnologico e personale. La genialità di Boyd risiede nella sua capacità di semplificare complessi processi cognitivi in un modello universale, che può essere adattato a molteplici contesti.
Chi era John Boyd?
John Boyd, nato nel 1927, morto nel 1997, è stato un ufficiale dell’US Air Force. Nel 1952 ha conseguito il brevetto di pilota, pochi mesi dopo fu inviato in Corea, presso il 51st Fighter Interceptor Wing (comandato dal Colonnello John W. Mitchell); in tempo per prendere parte alle ultime fasi della guerra, durante le quali condusse ventidue missioni, senza abbattere nessun aereo nemico. A seguito di quella esperienza, si chiese come avevano potuto i piloti americani, seppure in inferiorità numerica, avere un rateo abbattimenti/perdite in combattimento aereo stimato in 5,6 a 1. C’era il fattore umano: molti erano reduci della Seconda Guerra Mondiale, ma anche il vantaggio tecnologico del velivolo F-86 Sabre, rispetto al MiG-15, dalle prestazioni sostanzialmente analoghe: il primo aveva un tettuccio a goccia che garantiva un’ottima visibilità a giro d’orizzonte e degli attuatori delle superfici mobili più pronti alla risposta.
Nel 1954 fu assegnato alla Fighter Weapons School, istituto preposto allo sviluppo delle tattiche di combattimento aereo, prima come allievo, classificato primo del suo corso, e poi come istruttore. A questo periodo risale il suo soprannome di “40 seconds Boyd” per la sua abilità, partendo da una posizione di svantaggio, nel battere i suoi avversari in simulazioni di combattimento aereo in meno di 40 secondi.
Successivamente ha fatto parte dei gruppi che hanno definito i requisiti operativi del successore dell’F-4 Phantom II; da cui sono scaturiti:
- F-15 Eagle:
- primo aereo ad avere un rapporto spinta/peso superiore a 1;
- ha all’attivo oltre 100 abbattimenti in combattimento aereo senza subire perdite;
- F-16 Fighting Falcon (“electric jet”):
- Dotato di comandi di volo FLy-by-wire;
- Piccolo, agile e poco costoso, è il degno erede dell’F-86.
Durante la sua carriera, Boyd si dedicò alla ricerca e all’analisi strategica. Fu un pensatore indipendente, noto per mettere in discussione il sapere convenzionale e per proporre idee rivoluzionarie che hanno influenzato la dottrina militare americana, tra cui l’importanza di manovre rapide e decisive.
Il ciclo OODA: Osservazione, Orientamento, Decisione, Azione (Assessment – valutazione)
Il ciclo OODA è un modello teorico che descrive il processo decisionale in situazioni dinamiche e competitive. Secondo Boyd, in ogni scenario in cui ci si trova a competere contro un avversario – sia esso un nemico in battaglia o un concorrente sul mercato – il successo dipende dalla capacità di prendere decisioni più rapide e efficaci rispetto a quelle del rivale.
Osservazione
Il primo passo del ciclo OODA è l’osservazione, che consiste nella raccolta di informazioni dall’ambiente circostante. Boyd sottolinea l’importanza di essere vigili e attenti ai cambiamenti, cercando di identificare minacce, opportunità e modelli emergenti. Un’osservazione accurata è cruciale per alimentare le fasi successive del processo decisionale.
Orientamento
L’orientamento è la fase più complessa e centrale del ciclo. Boyd la descrive come il momento in cui si interpretano i dati raccolti attraverso filtri cognitivi, culturali e strategici. L’orientamento include l’analisi della situazione, l’elaborazione delle opzioni e l’integrazione di fattori come la conoscenza, l’esperienza, i valori e le credenze.
Decisione
Una volta che l’individuo o il gruppo ha orientato l’informazione, si passa alla fase decisionale. Qui si sceglie il corso d’azione migliore in base alle analisi effettuate. Boyd evidenzia che la rapidità nel decidere è fondamentale, poiché permette di anticipare e disorientare l’avversario.
Azione
Infine, l’azione è l’esecuzione della decisione presa. L’azione crea un nuovo ciclo di osservazioni, in quanto modifica l’ambiente e produce nuove informazioni che devono essere assimilate e rielaborate. Boyd considera l’azione come un momento cruciale per mantenere la dinamica e il vantaggio competitivo.
Assessment (valutazione)
È stato aggiunto solo successivamente, ma usando degli indicatori appropriati, permette di capire se sti procedendo nella direzione voluta o se sia necessario un cambio di rotta.
Il ciclo OODA nella pratica
Sebbene il ciclo OODA sia stato inizialmente sviluppato per il combattimento aereo, il suo utilizzo si estende a molteplici ambiti.
Applicazioni militari
Nelle operazioni militari, il ciclo OODA è impiegato per pianificare e condurre missioni. Boyd enfatizzava la necessità di manovre rapide, flessibili e imprevedibili per disorientare l’avversario e ottenere il controllo della situazione. Il ciclo OODA è alla base della strategia di superiorità decisionale adottata in diversi conflitti.
Applicazioni aziendali
In ambito aziendale, il ciclo OODA aiuta le imprese a operare in mercati competitivi, adattandosi rapidamente ai cambiamenti e anticipando le mosse dei concorrenti. Ad esempio, nell’innovazione tecnologica, le aziende che osservano il mercato, orientano le loro strategie, prendono decisioni rapide e agiscono in modo efficace possono conquistare vantaggi significativi.
Utilizzo personale
Il ciclo OODA è utile anche per lo sviluppo personale e la gestione della vita quotidiana. Può essere utilizzato per migliorare il processo decisionale, affrontare problemi complessi e gestire situazioni di stress. La capacità di analizzare, adattarsi e agire è fondamentale per affrontare le sfide moderne.
L’eredità di John Boyd
John Boyd è stato un pensatore visionario, il cui lavoro ha influenzato profondamente il modo in cui le persone e le organizzazioni affrontano il processo decisionale. La sua eredità risiede nella semplicità e universalità del ciclo OODA, che continua a essere studiato e applicato in contesti globali. Boyd dimostrò che la rapidità, la flessibilità e l’adattabilità sono le chiavi per il successo in un mondo in continua evoluzione.
Con il ciclo OODA, John Boyd ha lasciato un segno indelebile nella storia. La sua visione del processo decisionale rimane un modello senza tempo per chiunque cerchi di comprendere e dominare la complessità della competizione.
Lungo i Sentieri della Mente: una riflessione neuroscientifica sull’adolescenza in uniforme (Prof. Emiliano Ricciardi; Giuseppina Gifuni 14-17)
Il prof. Emiliano Ricciardi è full professor presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca; Giuseppina Gifuni è dottoranda in Communication, Markets and Society presso il “Behavior and Brain Lab” Neuromarketing Research Center della IULM University.
Visualizza la presentazione del prof. Ricciardi.
Introduzione
Nel cuore di Napoli, tra le mura di una delle più antiche scuole militari d’Europa, si compie ogni anno un rito di passaggio che ha segnato generazioni di giovani: l’ingresso alla Scuola Militare Nunziatella. Un’esperienza che plasma in profondità il carattere, il corpo e (come oggi possiamo affermare con crescente evidenza scientifica) il cervello.
Come ex allieva di questa istituzione e oggi dottoranda in Neuromarketing, mi sono spesso chiesta quali meccanismi profondi si siano attivati durante quei tre anni: cosa accade nel cervello di un adolescente che vive in un contesto gerarchico, altamente ritualizzato, lontano da casa, sottoposto a forti pressioni emotive ma anche capace di generare legami intensi e indelebili?
Le neuroscienze ci offrono oggi strumenti potenti per esplorare queste domande. Comprendere il ruolo delle emozioni nella formazione della memoria (Phelps, 2004), la funzione regolatoria della corteccia prefrontale nel controllo degli impulsi (Blakemore & Mills, 2014), o l’effetto dell’ossitocina nella creazione di fiducia e coesione (Zak, 2012), ci consente di osservare l’esperienza scolastica con occhiali nuovi.
Questo lavoro nasce da un evento di confronto tra ex allievi ed il Prof. Ricciardi della Scuola IMT Alti Studi Lucca, esperto di neuroscienze cognitive, che ci ha aiutato a rileggere l’esperienza vissuta. L’obiettivo di questo testo è offrire una narrazione integrata, che fonda esperienza personale e conoscenze scientifiche, affinché chi ha vissuto la Nunziatella (e oggi guida team, famiglie o aziende) possa attingere nuova consapevolezza e forza da quella fase formativa, trasformandola in risorsa per il futuro.
Adolescenza e sviluppo neurobiologico
L’adolescenza è un periodo critico per lo sviluppo cerebrale, caratterizzato da una riorganizzazione profonda delle connessioni neuronali, da un incremento della neuroplasticità e da un’accentuata sensibilità agli stimoli emotivi e sociali. Dal punto di vista neuroscientifico, essa rappresenta una finestra di opportunità e allo stesso tempo una fase di vulnerabilità, in cui l’ambiente gioca un ruolo determinante nella modellazione delle strutture e funzioni cerebrali.
Gli studi di Giedd (2004) hanno mostrato come, durante l’adolescenza, la corteccia prefrontale (responsabile delle funzioni esecutive come il controllo degli impulsi, la pianificazione e il giudizio morale) continui a maturare fino alla tarda adolescenza. Questo rende i giovani più propensi a comportamenti rischiosi e reattivi, specialmente in contesti emotivamente carichi, dove prevale l’attivazione del sistema limbico, in particolare dell’amigdala (Casey et al., 2008).
Blakemore e Mills (2014) hanno inoltre evidenziato che gli adolescenti sono neurobiologicamente predisposti alla ricerca di approvazione sociale. L’attività della corteccia prefrontale mediale, dell’insula e dello striato ventrale è fortemente correlata alla sensibilità al giudizio del gruppo e all’integrazione nei contesti sociali, come avviene nei gruppi scolastici, sportivi o, nel nostro caso, in un sistema gerarchico e identitario come quello militare.
In questo contesto, la Scuola Militare Nunziatella si configura come un ambiente ad alto impatto neuropsicologico: la distanza da casa, la vita in comunità, la struttura gerarchica e la ritualità quotidiana possono agire sia come fattori di stress, sia come catalizzatori di crescita cognitiva e regolazione emotiva. Il cervello adolescente, ancora in formazione, si adatta in base agli stimoli ricevuti: può rafforzare circuiti di resilienza o, al contrario, interiorizzare modelli di controllo, paura o conflitto.
Nel contesto del neuromarketing e delle neuroscienze sociali, comprendere questo equilibrio dinamico tra vulnerabilità e adattamento ci permette di leggere l’esperienza militare non solo come un momento formativo, ma come una vera e propria esperienza plastica, in grado di lasciare tracce profonde nei sistemi di memoria, nelle strategie decisionali e nei modelli di leadership che accompagneranno l’individuo per tutta la vita.
Il distacco e la resilienza nel primo anno
Il primo anno di permanenza alla Scuola Militare Nunziatella rappresenta una cesura simbolica ed emotiva: il giovane adolescente viene fisicamente separato dalla famiglia, sottoposto a nuove regole, rituali sconosciuti e a un contesto altamente strutturato. Questo passaggio ha tutte le caratteristiche di un evento stressante ad alto impatto emotivo, che può generare sentimenti di disorientamento, ansia, nostalgia e talvolta rifiuto. Tuttavia, in alcuni casi si osserva un fenomeno opposto: il ragazzo sviluppa rapidamente strategie adattive, disciplina, capacità di autogestione. A livello neurobiologico, questi due estremi riflettono l’equilibrio tra attivazione dello stress e costruzione della resilienza.
Il sistema limbico, in particolare l’amigdala e l’ippocampo, è coinvolto nella codifica della risposta emotiva a eventi percepiti come minacciosi o traumatici. In situazioni di separazione e incertezza, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) si attiva, rilasciando cortisolo, l’ormone dello stress (Gunnar & Quevedo, 2007). Un’eccessiva e prolungata esposizione al cortisolo può compromettere le capacità cognitive e la regolazione emotiva, ma una gestione efficace dello stress può invece rafforzare le connessioni nella corteccia prefrontale e nel circuito dopaminergico, favorendo l’autoefficacia e la resilienza (Southwick et al., 2014).
L’ambiente militare, con la sua prevedibilità strutturata, i rituali quotidiani e la forte identità collettiva, può trasformarsi in un contenitore simbolico che mitiga lo stress e permette una regolazione progressiva delle emozioni. Masten (2001) definisce la resilienza come una manifestazione ordinaria di capacità adattive umane e sottolinea come essa emerga dalla combinazione di fattori individuali (temperamento, autoregolazione) e sistemici (presenza di regole, adulti di riferimento, gruppo coeso).
Nella mia esperienza personale (e probabilmente in quella di molti altri ex allievi) il primo anno è stato vissuto come una tempesta, ma anche come una fase di accelerazione nella maturazione emotiva. La capacità di costruire routine, trovare senso nei rituali, identificarsi con il gruppo classe e trasformare l’ansia in determinazione è ciò che ha permesso ad alcuni di superare la crisi iniziale. È interessante notare come questi stessi meccanismi siano oggi studiati anche nel campo della performance aziendale e sportiva, dove la capacità di regolare lo stress e di recuperare rapidamente è riconosciuta come uno dei principali predittori del successo.
In sintesi, il primo anno alla Nunziatella può essere compreso come un esperimento naturale di adattamento neurologico: in assenza di supporti familiari tradizionali, il cervello è costretto a riorganizzare rapidamente i suoi assetti emotivi e cognitivi. La capacità di trasformare l’ansia in disciplina, la nostalgia in legame fraterno e lo smarrimento in identità è uno dei primi e più potenti atti di costruzione della resilienza.
Rituali, gruppo e ossitocina nel secondo anno
Il secondo anno alla Scuola Militare Nunziatella è spesso ricordato dagli ex allievi come il più equilibrato dal punto di vista emotivo: la crisi iniziale del primo anno è superata, mentre le responsabilità dell’ultimo anno non sono ancora pressanti. È un periodo fertile per la costruzione di legami sociali forti, per la condivisione di rituali collettivi, e per la maturazione di un’identità che non è più centrata sul singolo, ma sul gruppo. In termini neurobiologici, è la fase in cui il noi comincia a prendere il posto del tu.
Numerose ricerche hanno dimostrato come i rituali condivisi – anche informali – possano attivare il rilascio di ossitocina, l’ormone associato alla fiducia, all’empatia e alla coesione sociale (Zak, 2005; 2012). Paul Zak ha condotto studi sulle popolazioni tribali della Papua Nuova Guinea, mostrando che rituali collettivi (danze, preghiere, canti) attivano circuiti neurochimici che riducono la diffidenza e potenziano la cooperazione. Questo meccanismo è lo stesso che osserviamo in contesti più moderni: dalle tifoserie sportive alle comunità religiose, fino ai team aziendali e militari.
Alla Nunziatella, i rituali non ufficiali (passaggi di consegne, canti, gesti simbolici, soprannomi) svolgono un ruolo analogo: generano senso di appartenenza, consolidano l’identità collettiva e permettono al cervello di associare il gruppo a una fonte di sicurezza e riconoscimento. La corteccia prefrontale mediale, implicata nei processi di auto-riflessione e identità sociale, lavora in sinergia con il sistema limbico, facilitando l’integrazione tra emozione e struttura narrativa del sé (Dunbar, 2010).
Durante il secondo anno, molti allievi sviluppano quella che potremmo definire una “memoria sociale implicita”, in cui i ricordi condivisi e le esperienze ritualizzate diventano parte integrante del proprio sistema valoriale. Questo processo contribuisce alla formazione di un’identità stabile e di una leadership che si fonda più sul riconoscimento reciproco che sull’imposizione formale.
In definitiva, la coesione esperita nel secondo anno non è solo frutto di affinità o contingenza, ma di un preciso funzionamento neurochimico che trasforma la ripetizione simbolica in connessione duratura. È in questa fase che si comprende realmente il senso dell’espressione: sei entrato con la convinzione del tu, esci con la consapevolezza del noi.
Potere, ruolo e responsabilità nel terzo anno
Il terzo anno alla Nunziatella segna l’ingresso nell’ultima fase del percorso formativo e rappresenta, per molti, il momento del comando. Gli allievi più anziani assumono responsabilità di gestione, coordinamento e supervisione dei più giovani. Se da un lato questa fase rappresenta un’opportunità straordinaria di crescita, dall’altro può attivare dinamiche psicologiche e neurobiologiche complesse legate all’esercizio del potere e all’assunzione di ruoli autoritari.
Estremizziamo. L’esperimento carcerario di Stanford, condotto da Philip Zimbardo nel 1971, ha dimostrato come l’assegnazione casuale di ruoli autoritari (guardie) possa rapidamente condurre a comportamenti punitivi e oppressivi, anche in individui precedentemente equilibrati. Zimbardo parlava di perdita di responsabilità personale a favore dell’identificazione con un ruolo. Questo processo è noto come deindividuazione: l’individuo smette di agire come sé stesso e agisce invece come membro di un sistema o di una gerarchia.
Un meccanismo simile è stato osservato nell’esperimento sull’obbedienza all’autorità di Stanley Milgram (1963), in cui i partecipanti continuavano a infliggere (finte) scosse elettriche a un’altra persona sotto l’ordine di una figura autorevole. Milgram concluse che l’obbedienza è una componente integrata dell’essere umano che supera spesso i principi morali appresi.
A livello neuroscientifico, questi esperimenti hanno ispirato studi sul ruolo della corteccia prefrontale dorsolaterale, della corteccia orbitofrontale e del sistema dopaminergico nei processi decisionali sotto autorità o in condizioni di leadership. In contesti gerarchici, il cervello può ridurre l’attivazione delle aree legate all’empatia (insula anteriore, corteccia cingolata anteriore), aumentando invece l’attenzione all’obiettivo e alla norma (Haslam & Reicher, 2007).
Nel contesto della Nunziatella, questo passaggio può sfociare in due direzioni: una leadership autentica, basata sul riconoscimento e sull’esempio, oppure in forme negative di controllo con effetti sia psicologici che neurologici per chi subisce e per chi agisce.
L’aspetto centrale di questa dinamica è che il potere non è neutro dal punto di vista cerebrale: modifica la percezione di sé, degli altri e della responsabilità. Tuttavia, la formazione alla leadership consapevole – fondata su autorevolezza piuttosto che autoritarismo – può contrastare questi effetti, allenando l’autoregolazione emotiva, l’empatia e la riflessione morale.
In questo senso, il terzo anno alla Nunziatella rappresenta una palestra neuro-emotiva in cui si impara, nel bene e nel male, a gestire il potere. Comprendere le basi neuroscientifiche di questi meccanismi non serve solo a evitare le derive, ma anche a valorizzare i comportamenti virtuosi, trasformando il comando in una forma di servizio e responsabilità verso il gruppo.
Emozioni, memoria e tracce durature
La memoria non è un archivio neutro di fatti, ma una rielaborazione dinamica influenzata dall’emozione, dal contesto e dalla significatività dell’esperienza. Questo principio, ben noto nelle neuroscienze cognitive, è particolarmente rilevante quando si analizza l’esperienza formativa vissuta all’interno della Scuola Militare Nunziatella: un ambiente carico di simboli, rituali, pressioni e legami profondi, che lascia tracce durature nel sistema nervoso.
Studi classici e contemporanei hanno evidenziato come le emozioni agiscano da amplificatori mnemonici. L’amigdala, struttura chiave del sistema limbico, modula l’attività dell’ippocampo (responsabile della consolidazione della memoria) rendendo più vivide e persistenti le esperienze cariche emotivamente (McGaugh, 2003; Phelps, 2004). Questo meccanismo spiega perché molti ex allievi ricordino con nitidezza episodi del triennio, anche a distanza di decenni, mentre dimenticano con facilità eventi accademicamente più rilevanti o successivi.
Le neuroscienze sociali hanno inoltre confermato che la memoria è fortemente influenzata dalla dimensione relazionale. Gli studi di LeDoux (2000) hanno dimostrato che esperienze vissute in contesti di alta coesione sociale e intensa interazione sono codificate come memorie di appartenenza, diventando parte integrante dell’identità individuale. Il noi evocato da queste esperienze si sedimenta nel cervello sotto forma di schemi narrativi, reazioni automatiche, modelli comportamentali.
Alla Nunziatella, molti di questi engrammi emozionali – ovvero queste tracce mnemoniche – vengono codificati attraverso rituali collettivi, momenti critici (come esami, cerimonie, marce), relazioni significative con compagni o superiori. Questi episodi diventano nodi autobiografici, attorno ai quali si organizza non solo la memoria, ma anche la percezione del sé, la gestione dello stress e lo stile relazionale.
Comprendere il ruolo delle emozioni nella codifica della memoria permette di rivalutare in chiave evolutiva l’intera esperienza scolastica: ciò che resta non sono solo nozioni o episodi, ma modelli profondi di reazione, appartenenza e significato. Avere consapevolezza di questi processi consente agli ex allievi di distinguere ciò che è utile conservare (in termini di disciplina, lealtà, spirito di sacrificio) da ciò che può essere trasformato o lasciato andare.
Oltre la soglia: la rinegoziazione dell’identità dopo la Scuola
La fine del triennio alla Scuola Militare Nunziatella non rappresenta solo una conclusione, ma un nuovo punto critico di transizione, spesso sottovalutato. Dopo tre anni vissuti in un sistema fortemente codificato, coeso, ricco di riti e di status simbolici, l’uscita da quell’ambiente genera una forma di discontinuità identitaria, che può sfociare in veri e propri micro-traumi neuropsicologici. Che si scelga la carriera universitaria o quella militare, la transizione comporta una rinegoziazione profonda della propria posizione sociale e del proprio senso del sé.
Per chi intraprende un percorso universitario, il ritorno nella società civile può essere disorientante: il contesto perde le sue regole nette, i confini sono più labili, i riferimenti meno stabili. Si passa da una struttura verticale e ritualizzata a una realtà individualista e fluida. A livello neurobiologico, questo cambiamento improvviso può causare una riduzione nella produzione di ossitocina – per la perdita del gruppo stabile – e un aumento dell’attività dell’amigdala, legata all’incertezza sociale e alla gestione dell’ambiguità (Pfeifer & Peake, 2012). In molti casi, si assiste a una temporanea diminuzione del senso di efficacia e appartenenza, spesso accompagnata da stress, ansia da prestazione o senso di isolamento.
Per chi invece accede a un’accademia militare, il cambiamento ha natura diversa ma altrettanto impattante: il passaggio da “anziano” a “cappellone” comporta una perdita simbolica di potere. Questo rovesciamento nella gerarchia produce una reazione simile a quella osservata nei modelli di de-status neurobiologico: si riduce l’attività dopaminergica associata alla ricompensa sociale (Schultheiss & Wirth, 2008), e si attiva la risposta allo stress per l’incongruenza tra status precedente e percezione attuale. Questa condizione può portare, temporaneamente, a una flessione dell’autoefficacia percepita (Bandura, 1997).
Dal punto di vista evolutivo, però, questi momenti di “vuoto identitario” rappresentano anche finestre di neuroplasticità: il cervello è spinto a rinegoziare i suoi modelli di appartenenza, controllo, autoregolazione. La letteratura sulla crescita post-traumatica (Tedeschi & Calhoun, 2004) suggerisce che proprio questi momenti di crisi possano innescare processi profondi di sviluppo personale, se sostenuti da narrazioni coerenti, relazioni significative e senso di significato.
Questa fase transazionale, se accompagnata da consapevolezza, sostegno relazionale e senso di direzione, può rafforzare i circuiti dell’adattamento, l’intelligenza emotiva e favorire una ristrutturazione identitaria più autonoma, profonda e stabile.
Conclusioni e prospettive
Rileggere l’esperienza alla Scuola attraverso la lente delle neuroscienze non è solo un esercizio teorico: è un atto di consapevolezza. Significa interrogarsi su ciò che ci ha formati non solo come studenti o militari, ma come esseri umani, professionisti, leader, genitori. Le neuroscienze cognitive e affettive ci offrono oggi gli strumenti per comprendere meglio le dinamiche profonde che regolano la nostra memoria, le emozioni, la capacità di appartenenza e di comando.
Abbiamo visto come il primo anno possa attivare meccanismi di stress e resilienza; come il secondo rafforzi la coesione attraverso rituali sociali e rilascio di ossitocina; come il terzo anno metta alla prova la gestione del potere e la maturazione etica. Abbiamo compreso che la memoria scolpita da emozioni intense può diventare un elemento guida nella vita adulta, influenzando scelte, comportamenti e identità.
Questa rilettura neuroscientifica non ha lo scopo di giudicare l’esperienza, né di idealizzarla, ma di renderla più leggibile e trasformabile. In un’epoca in cui si parla sempre più di benessere mentale, intelligenza emotiva e leadership consapevole, le esperienze formative del passato possono essere riscoperte come risorse interiori, soprattutto se analizzate con uno sguardo nuovo, informato e compassionevole.
Il dialogo con il Prof. Ricciardi ha mostrato quanto sia urgente integrare neuroscienze e pedagogia, anche in contesti militari. L’educazione dell’individuo passa anche dalla conoscenza del proprio funzionamento cerebrale. Per questo, iniziative come questa non sono solo riflessioni sul passato, ma investimenti sul futuro: nella qualità della leadership, nella prevenzione del disagio, nella costruzione di ambienti di apprendimento e lavoro più sani, umani ed efficaci.
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Difesa in Italia: Carabinieri! (Antonio Jannece 81-84; Arturo Guarino 84-87)
Abstract dell’intervento
La formazione dei futuri Carabinieri è di grande importanza, a cominciare dai Comandanti, in un’epoca segnata da profonde trasformazioni e da sfide complesse. Lo scenario globale è, infatti, caratterizzato da una crescente instabilità e da innovazioni tecnologiche dirompenti che stanno ridefinendo il concetto stesso di sicurezza, con minacce emergenti in nuovi domini operativi come lo spazio, il contesto subacqueo, il cyberspazio e la dimensione cognitiva.
In questo quadro, la militarità dei Carabinieri – intesa come fondamento etico – acquisisce un valore strategico. In linea con le direttive ministeriali, sono stati avviati programmi di potenziamento delle capacità militari, tra cui la costituzione di una Brigata di formazione per la Difesa Integrata del Territorio e il rafforzamento della proiezione internazionale, che oggi vede l’impiego di circa 500 unità in 15 teatri operativi, incluso il recente ritorno al valico di Rafah.
Parallelamente, sono stati istituiti gruppi di lavoro interni per l’ottimizzazione dei modelli organizzativi e operativi, e creato il Dipartimento Audit e Innovazione.
Particolare attenzione è riservata al benessere del personale, con interventi mirati sul trattamento previdenziale, le soluzioni alloggiative e il potenziamento dell’efficienza logistica. Viene inoltre affrontato il tema cruciale del cambiamento climatico e del degrado ambientale, con un impegno da parte dell’Arma, articolato su tre fronti: la polizia ambientale, la gestione ecosostenibile delle infrastrutture e della mobilità, nonché la promozione della cultura ambientale.
La lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione resta una priorità, con risultati rilevanti sul piano investigativo e patrimoniale. Anche la minaccia terroristica di matrice fondamentalista richiede una risposta fondata su una costante attività informativa e investigativa coordinata. In quest’ottica, l’Arma sta investendo in modo deciso nell’Intelligenza Artificiale e in tecnologie avanzate, sia per la prevenzione e repressione dei reati, sia per la digitalizzazione dei servizi, comprese le denunce.
A fronte di una crescente domanda di sicurezza, alimentata dall’instabilità sociale ed economica, viene ribadito il ruolo centrale delle Stazioni Carabinieri, veri e propri presidi di prossimità, ascolto e rassicurazione per le comunità.
La formazione degli Ufficiali è un elemento strategico, fondato su un approccio multidimensionale che integra il “sapere”, il “saper essere” e il “saper fare”. Ai futuri Comandanti si richiedono qualità etiche, capacità di giudizio, visione, creatività, ascolto, pensiero ambizioso, resilienza e, soprattutto, l’esemplarità. L’obiettivo finale è formare leader coraggiosi, competenti e pronti ad assumere iniziative nell’esclusivo interesse dei cittadini e della Patria.
Manifesto delle Nuove Generazioni
Sintesi dei contributi (Ruben Gravante 07-10, 33 anni, Capitano GdF)
L’Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella si fa portavoce e sostanza di un legame indissolubile tra coloro che hanno vissuto l’esperienza più formativa che il nostro Stato propone a giovani adolescenti. Uscire dalle mura del Rosso Maniero non rappresenta un semplice passaggio: è un momento di transizione che segna l’inizio di un nuovo capitolo nella vita di ogni ex allievo. Questa migrazione, tuttavia, dal mondo liceale/militare a quello civile/universitario/accademico/professionale può risultare spaesante: durante gli anni trascorsi all’interno del Rosso Maniero, il mondo subisce trasformazioni dalle quali la Scuola spesso non viene interessata, rectius “intaccata”. Smarrire le coordinate dunque appare tragicamente semplice e l’Associazione funziona, o meglio dovrebbe funzionare, come faro e porto sicuro in questo mare magnum chiamato società.
Il legame tra gli ex allievi è vissuto come un’alleanza fraterna (o sorerna), caratterizzata da esperienze condivise e da un profondo senso di appartenenza. Il ricordo di avventure giovanili, delle sfide affrontate insieme e dei momenti di crescita personale e collettiva diventa un elemento fondamentale per la costruzione di relazioni durature. La Nunziatella non è solo un’istituzione educativa, ma agisce come una madre severa ma allo stesso tempo benevola, che impartisce non solo disciplina, ma dona anche amore e sostegno. Questa dualità è fondamentale: la scuola ha insegnato ai suoi allievi a vivere sotto regole ferree, ma ha anche permesso loro di sperimentare la libertà e l’autonomia.
Tuttavia, nonostante la solidità del legame tra gli ex allievi, si avverte la necessità di un cambio di passo all’interno dell’Associazione. Oggi, il ruolo dell’Associazione dovrebbe andare oltre la semplice celebrazione del passato. Deve evolversi in una rete attiva e dinamica, capace di rispondere alle sfide contemporanee e di fornire supporto concreto ai membri nella loro vita professionale e privata. Questo richiede una visione chiara e un impegno collettivo per trasformare l’Associazione in un motore di crescita e sostegno.
È fondamentale che l’Associazione si impegni a creare opportunità per i giovani ex allievi, specialmente per coloro che non seguono la via delle Accademie militari. Il passaggio verso il mondo del lavoro e/o dell’università può essere intimidatorio: l’Associazione dovrebbe fungere da ponte, facilitando il networking e offrendo orientamento. Eventi di scambio, incontri di confronto e attività di mentoring possono non solo ispirare i giovani, ma anche fornire loro strumenti pratici per affrontare le sfide del mondo esterno.
Inoltre, è importante coinvolgere attivamente i giovani nella gestione dell’Associazione. Creare gruppi di lavoro, utilizzare piattaforme digitali e promuovere iniziative che stimolino la partecipazione attiva sono passi essenziali per rivitalizzare il senso di comunità. L’entusiasmo della gioventù deve essere canalizzato in azioni concrete, creando un ambiente dove la collaborazione e il supporto reciproco siano la norma.
La riflessione finale mette in evidenza l’importanza di una visione chiara per il futuro dell’Associazione. Essa deve diventare un luogo in cui l’appartenenza si traduce in valore, dove ogni membro può contribuire attivamente e dove le connessioni si trasformano in opportunità tangibili. Questo approccio non solo onora il passato, ma costruisce un futuro migliore per tutti gli ex allievi, permettendo loro di affrontare le sfide della vita con maggiore sicurezza e solidità.
In conclusione, l’Associazione Nazionale Ex Allievi della Nunziatella ha il potenziale per diventare costante di certezza, un pilastro fondamentale nella vita di ogni ex allievo, non solo come luogo di ritrovo nostalgico, ma una risorsa viva e dinamica, capace di trasformare l’esperienza condivisa in opportunità concrete per il futuro. Questo è il momento di lavorare insieme per dare vita a una comunità che non si limiti a ricordare il passato, ma si impegni attivamente nella costruzione di un futuro migliore per gli ex allievi.
Pio Fogliame 15-18, 25 anni, Capitano Ingegnere Civile Aeronautica Militare
Al termine dell’esperienza totalizzante all’interno delle mura del Rosso Maniero, ogni ex- allievo si riversa con non poche difficoltà nella società, oramai profondamente cambiata, non più la stessa rispetto a quella lasciata qualche anno prima. Contemporaneamente è avvenuto un altro grosso cambiamento: quel guazzabuglio di insicurezze, paure, sensazioni confuse e indecifrabili sono diventati solide convinzioni e spavalde certezze nell’animo dell’adolescente che fu. Il mondo esterno alla bolla è cambiato rapidamente. L’uomo è sbocciato. Variazioni su binari diversi, a velocità altrettanto diverse. Il sedicenne durante il periodo di massima tensione verso le sue aspirazioni, ne esce più consapevole di sé stesso, ma non di ciò che lo aspetta.
L’associazione, nel momento di smarrimento dopo l’uscita da Scuola, assurge il compito di levatrice, porto sicuro a cui rivolgersi e ritrovarsi. Nello sguardo di quanti come lui hanno vissuto le medesime sensazioni, ricorda con un sorriso le mille avventure della propria giovinezza, rivivendole anche attraverso la vista appannata di decine di generazioni che hanno varcato quel pesante portone d’ingresso.
Tutto questo è quello che ci porta, all’inizio di novembre, a sentire quella strana sensazione di felicità straripante, sconfinata voglia di poter tornare a riabbracciare i nostri vecchi e nuovi fratelli. Novembre significa tornare nuovamente a casa rovistando nello scantinato dei vecchi ricordi, aneddoti esilaranti ingiustificatamente caduti nell’oblio.
Svestirsi della serietà che ci impone l’essere adulto e tornare ad essere anziano, spavaldo e incosciente. L’Associazione, in tal senso, ci offre ogni anno il privilegio di ritornare a rivivere la sensazione di essere baciati dal sole di Piazza Plebiscito. Unico blocco, al fianco del proprio compagno di corso, spalla a spalla, per cantare a perdifiato il Canto della Pompa, vessillo sgargiante della nostra giovinezza.
Quello stringersi l’un l’altro non avviene solo in occasione del Giuramento. L’Associazione è una un’enorme risorsa, costante invariabile tra le generazioni. Diventa il luogo dove ci si tende la mano a vicenda, per aiutare il fratello in difficoltà. Perché tu sei il mio passato ed io sono il tuo futuro. È un continuo passaggio del testimone, non solo nel momento ludico del giuramento, ma in quello quotidiano, fatto di difficoltà ed ostacoli privati e lavorativi.
La Nunziatella è stata tutto per poi pensare di diventare niente. È stata insegnante austera e severa, poi madre dolcissima e premurosa. È stata libertà, pur vivendo sotto precise regole. La luce del sole che tramontava dietro la collina di Posillipo e il buio dei sotterranei. Perché è dalla scienza dei contrasti, degli opposti che nascono le meraviglie. La meraviglia che nasce tra i corridoi e le camerate prende il nome di Philia (φιλία). L’Associazione costituisce il collante fra tutti i suoi membri, affinché questo insegnamento, il più vero e sincero, il marchio che contraddistingue la nostra amata scuola, venga coltivato quotidianamente.
Non solo unione tra di noi. L’Associazione, infine, deve essere il luogo dove poter veicolare, attraverso iniziative, progetti i nostri valori e le nostre tradizioni, non solo nel contesto accademico e di conservazione del patrimonio culturale ed artistico della Scuola. Da sempre, la Nunziatella ha intrattenuto relazioni istituzionali con il territorio che ci ha visto attori protagonisti sul palcoscenico dei Quartieri Spagnoli e di Via Toledo. Il compito dell’Associazione è anche quello di mantenere vivo questo legame, nell’ottica di aumentarne la considerazione e il blasone tra i cittadini. Non solo partecipando alla vita della città Napoletana, ma su tutto il territorio Nazionale, onorando il motto che ci ha formato, prima ancora che come militari, ma come cittadini modello.
Carlo Loiudice 13-16, 26 anni, Capitano E.I. Genio Guastatore
Non è semplice rispondere alla domanda “Cosa ti aspetti dalla Nunziatella?” e sicuramente la risposta necessita di un’attenta riflessione. Con il senno del poi ed alla luce delle esperienze vissute dopo la Nunziatella, mi sento di dire, da militare, che nell’ambito lavorativo la presenza dell’associazione è stata pressoché nulla ma altrettanto posso dire che nel corso degli anni trascorsi a reparto, lavorativamente parlando, non ne ho avvertito in alcun modo l’assenza ed anzi talvolta l’occhio di riguardo è stato in senso negativo. Ritengo tuttavia che, l’Associazione, in quanto tale, dal punto di vista lavorativo possa essere assai più necessaria per chi è all’esterno di un ambiente militare, anche solo per un consiglio, un punto di vista differente, un orientamento nel mondo lavorativo, che all’esterno delle forze armate è assai più caotico e variopinto.
Da militare però ritengo assai più necessaria l’Associazione nell’ambito della vita privata. Mi spiego meglio. Nella gran parte dei casi, molti militari e non vengono trasferiti ed anche in maniera frequente. Raggiungere un nuovo ambiente ed adattarsi alla vita in un nuovo contesto ed in una nuova realtà non è mai semplice e richiede tempo. Avere un’associazione accogliente ed aderente, sicuramente è fondamentale ed è quanto, a mio avviso sarebbe necessario e bastevole. Anche solo un aperitivo, un’attività conviviale, un’attività organizzata permetterebbero di “fare rete” e creare legami. Mi rendo conto del fatto che queste mie affermazioni possano sembrare assai banali, eppure, a mio avviso è quello che manca.
Solo in un caso, essere ex allievo mi ha avvicinato ad un altro ex allievo per il semplice fatto di essere tale. Questo mi è accaduto nel corso di un’operazione a Caltanissetta. In quel caso l’Associazione come tale poco ha avuto a che fare nell’ambito di un rapporto personale che è nato e si è mantenuto nel tempo, piuttosto è stato un reciproco senso di fratellanza ed accoglienza che ha spinto, in quel caso, quell’Anziano, pur non conoscendomi, ad accogliermi ed integrarmi in quel territorio, sino al punto di diventarne (quasi) parte integrante.
Stessa cosa mi è accaduta a Lampedusa, lì però ad accogliermi è stato un paricorso e quindi il rapporto personale era pre esistente.
Se dunque ad oggi qualcuno dovesse pormi la fatidica domanda “Cosa ti aspetti dalla Nunziatella?”, la risposta sarebbe semplice e per quanto banale mai scontata ed anzi quasi rara, mi aspetto un fratello che nonostante non mi conosca, per il semplice fatto di essere ex allievo, avendo vissuto le mie stesse difficoltà nell’ambientarsi in un determinato territorio possa accogliermi ed aiutarmi in quel naturale percorso di ambientamento. Cosa che, io personalmente faccio sempre quando qualcuno di nuovo viene assegnato in zone limitrofe a quelle in cui ho vissuto per anni. Dal punto di vista lavorativo non mi aspetto nulla, fermo restando che un consiglio, una pacca sulla spalla ma anche un rimprovero fatto a fin di bene sarebbero sempre ben accetti.
Carlo Del Signore 13-16, 27 anni, Capitano GdF
Quando mi è stato chiesto di redigere questo elaborato, un breve saggio sull’humanitas e sul concetto di progressione, dell’umano e del cadetto già frequentatore della Nunziatella come species del genere umano, diversi sono i temi, gli inneschi, su cui ho riflettuto per concentrare la mia attenzione. Si parla anzitutto di humanitas come sintesi di esperienze, di passato e di futuro, di gioventù, che è comunque un modo per parlare di futuro. E poi di Associazione. Cercherò, quindi, di proporre una sintesi, e una riflessione, offrendo nella maniera minore possibile quella che è stata la mia esperienza, affinché non offuschi la richiesta di riflessione collettiva.
Circa l’humanitas sono due i grandi insegnamenti della Nunziatella, che poi mi hanno accompagnato nel percorso della vita che finora conduco, e sempre mi accompagneranno: dal mondo greco, veicolato tramite le lezioni di filosofia, ho anzitutto capito che l’uomo è uno zoon politikòn, come diceva Aristotele; dal mondo latino, grazie alle lezioni di lettere, ho imparato che sono uomo, e in quanto tale non considero estraneo da me nulla che non sia umano. In sostanza, quindi, ho maturato una idea dell’humanitas intesa come senso di appartenenza a una specie, rispetto alla quale è importante avere sensibilità per capirne tutte le pieghe, e capirsi e ricomprendersi nella sua complessa generalità. Ho imparato, più nel dettaglio, che volente o nolente l’uomo è fatto per interfacciarsi con il resto degli altri uomini, e che non può considerarsi estraneo alle vicende umane altrui, quali che esse siano.
Ricordo bene, a 17 o 18 anni (a 16 ero veramente troppo piccolo e stonato per capirci alcunché), le schiere di ex allievi che affrontavano le “rinascite” dopo l’esperienza a Scuola: chi sembrava brillare di luce propria, chi sembrava in difficoltà, chi semplicemente latitava, in silenzio o indifferenza. È stata sempre una immagine mista, quasi indistinta, così la porto nel mio ricordo. Invece posso distinguere in me, nitidamente, l’emozione di molti degli ex allievi con cui mi sono interfacciato, nel parlarmi, nel conoscermi, nel confrontarsi: emozione, credo, che nasca dal rivedersi, in qualche modo, nell’esperienza di cui ero in quel momento portatore, che appariva loro come qualcosa di ormai trascorso e per sempre irripetibile. Ricordo l’affetto, l’augurio di ogni bene, nella maggior parte dei casi. In altri, molti altri ma fortunatamente la minoranza, ricordo semplicemente il caos.
Diverse volte mi sono domandato, riflettendo su quanto sia totalizzante e irreggimentata la vita a Scuola: cosa sarà di me, da solo, cioè senza tutte le paratie intorno costruite dalla vita militare? Cosa sarà di questi altri intorno a me? Cosa sarà di me in rapporto con loro? Sono sempre stato fermamente convinto, nonostante una grande sensazione di sfiducia, che la maggioranza degli ex allievi abbia cose positive da dire; che, comunque, i network di ex allievi si preparavano per veicolare messaggi positivi, non solo di “protezione” reciproca, ma anche di accrescimento collettivo. Ero giovane, ero comunque naif e ancora “sognatore” per certi versi, ma chi mi conosce sa quanto fossi generalmente disincantato e comunque con i piedi a terra. Da qui una immagine comunque positiva dell’associazione, intesa però come rete viva, vivace, di donne e uomini degli stessi valori, con forza propulsiva e culturale, a proiezione sociale. Piuttosto asciutto, invece, è sempre stato il mio giudizio sull’Associazione intesa come organizzazione formale, strutturata: mi è sempre parsa un megafono di pensieri largamente conservatori, immobilisti, un organismo in mano a (quasi totalmente) uomini di un secolo che non c’era più e incapaci di vivere il vero cambiamento. Ai miei occhi, l’Associazione-organizzazione è sempre venuta dopo l’Associazione-rete, intesa come comunità politica, vivace, fatta di relazioni personali. Eppure, comunque l’Associazione-organizzazione, ancorché distante dalla fattualità con cui mi sono interfacciato, mi è sempre sembrata necessaria per l’esistenza e lo sviluppo dell’Associazione-rete, quantomeno come punto d’appoggio. Ero giovane all’epoca, credo di esserlo ancora oggi ma, sicuramente, c’è chi può dire ben più di me di essere giovane e, ancorché sia passato un tempo relativamente breve da quando ho lasciato la Scuola (solo 9 anni, che sarà mai..) ha maturato una idea nuova rispetto a un contesto nuovo.
Mi è capitato di interfacciarmi con qualcuno di questi, come dire, giovani contemporanei (diversamente da me che ormai sono solo giovane!), nell’ambito di queste reti che, appunto, sono associazione viva, vera: sono aggregazione. Le ultime vicende formali e organizzative dell’associazione sono apparse, da quanto ho potuto percepire, un lontano e distante accapigliamento tra vecchia generazione e nuova generazione circa il controllo di una entità amministrativa. Quasi tutte le riflessioni che ho sentito, però, hanno identificato i fatti come fenomeni distanti, quasi che non li riguardassero. Ho percepito, quindi, ancor più rispetto a quando sono uscito io dalla Nunziatella, l’estraneità dell’associato ex allievo rispetto all’organizzazione formale, che quantomeno un tempo fungeva da piattaforma di incontro, per quanto si potesse considerare gestita in maniera patriarcale.
Mi avvio quindi alla conclusione: quale prospettiva? È interessante: almeno due sono le possibili risposte. Potrebbero crearsi, e convivere, tante mini associazioni, in equilibrio con l’Associazione-organizzazione formale. In parte è così: il gruppo degli ex lombardi, per esempio, fa scuola rispetto a tutti e in qualche modo vive un fenomeno aggregativo parallelo, non concorrenziale, all’Associazione Nazionale. Oppure, può nascere un nuovo organismo centrale, che recuperi e includa tutte le diverse sensibilità, tutte le reti: deve, però, ammettere che una comunità così viva, così diversa e sparpagliata, è troppo dinamica per essere imbrigliata in qualsiasi modo. E quindi, se si vuole parlare di Associazione-organizzazione che si sovrapponga quanto più possibile all’associazione-rete, deve essere una costruzione massimamente elastica e, quanto più possibile, massimamente progressista. Da questo punto di vista, pensare di credere che i giovani, anche quelli appena usciti, non abbiano niente da dire di più dei decani ex allievi, è il primo fallimento in termini, la prima chiave di devoluzione tra le due forme associative che ho prospettato.
Vittorio Tesoro 14-17, 27 anni, Tenente Carabinieri
La realtà da cui partire è unica, letteralmente: l’Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, l’associazione che riunisce chi ha vissuto l’esperienza profonda e trasformativa della Scuola Militare più antica d’Europa, la Nunziatella.
Una comunità che, sulla carta, ha un potenziale straordinario. Uno spirito di appartenenza fortissimo, capace di attraversare anni, carriere, persino continenti. Un network sparso in Italia e nel mondo, che copre settori lavorativi diversissimi: pubbliche istituzioni, certo, ma anche aziende private, studi professionali, università. Eppure, ci dobbiamo chiedere: questo potenziale oggi è sfruttato davvero?
La risposta, onestamente, è no. Perché i giovani ex allievi faticano a sentirsi parte attiva di questa rete. Perché c’è confusione sugli scopi concreti dell’Associazione. Perché mancano infrastrutture fisiche e digitali capaci di trasformare le intenzioni in azioni, i valori in opportunità.
Serve un cambio di passo. Dobbiamo smettere di pensare all’associazione come a un semplice luogo per cene e raduni nostalgici: per quelli, in fondo, basta un gruppo WhatsApp. Dobbiamo cominciare a immaginarla come una leva, come un motore di crescita e di sostegno reale.
E qui entra in gioco un concetto cruciale: l’Associazione deve diventare il trait d’union tra chi si diploma alla Nunziatella e il mondo del lavoro, specialmente per quei ragazzi che, una volta usciti, non entrano nelle Accademie militari – chi per scelta, chi per non aver vinto i rispettivi concorsi – ma si confrontano con l’università, con il mondo accademico, e soprattutto con il settore privato e aziendale. Perché lasciare che ognuno si arrangi da solo, quando invece potremmo offrire una rete di supporto che apre porte, che crea connessioni, che offre strumenti?
Prendiamo esempio dagli Alumni Bocconi: eventi sponsorizzati sui social, opportunità professionali, un database interattivo per incrociare competenze e bisogni. Perché la Nunziatella non dovrebbe offrire lo stesso — e forse di più, grazie alla sua tradizione secolare e alla sua straordinaria rete?
C’è poi una riflessione intima, che vogliamo condividere come corso che ha appena festeggiato il Decennale. Da allievi, e nei primi anni da ex, spesso non ci si rende conto del valore di appartenere a una rete di tale portata. L’entusiasmo della gioventù spinge a esplorare da soli, dopo un triennio di intensa compagnia, a mettersi alla prova. Ed è giusto così. Ma arriva un momento — per tutti, prima o poi — in cui abbiamo capito che insieme si va più lontano. Ed è lì che l’Associazione deve farsi trovare pronta, specialmente per chi non ne ha colto subito il potenziale intrinseco: essa deve non solo saper accogliere, ma saper dare, sostenere, amplificare le possibilità di ciascun Ex.
Concretamente, in soldoni, in sintesi, senza fronzoli?
- Creare momenti di scambio reale. Organizzare giornate di confronto e ispirazione (come questa qui!) dove chi cerca una strada possa trovarla ascoltando chi è già passato da lì e ha costruito qualcosa. Non racconti generici, ma storie vere, esempi tangibili – ma soprattutto variegati, ovvero non monotematici e tendenti alle uniche Forze Armate/di Polizia – di come ci si possa reinventare, rialzare, ripartire.
- Coinvolgere attivamente i giovani. In Puglia, ad esempio, un gruppo (whatsapp) di soli giovani è l’esempio banale ma efficace di quanto conti avere punti di riferimento tra coetanei. Ma non basta aspettare: siamo noi, i più giovani, a dover fare il primo passo, a prenderci la responsabilità di creare una catena di passaparola positiva, di coinvolgere altri, di accendere entusiasmo.
- Diventare un ponte verso il mondo esterno. Last but not least, l’Associazione DEVE (senza condizionale, diciamolo una volta per tutte!) diventare lo strumento pratico per chi esce dalla Nunziatella e non entra in Accademia, ma si lancia nel mondo universitario, nel mercato del lavoro, nelle sfide del privato. Offrire orientamento, mentoring, opportunità di networking, accompagnamento concreto. Perché appartenere a questa comunità non può essere solo un ricordo: deve essere una risorsa viva, utile, trasformativa…“Preparo (prima) alla vita, (poi) alle armi”.
Mattia Girardi 12-15, 29 anni, Senior Associate presso The Boston Consulting Group
Diventare ex Allievo della Nunziatella, per me, ha significato entrare in una nuova fase della vita portando con sé un’eredità pesante: l’aspettativa, spesso silenziosa ma costante, di essere all’altezza di chi ci ha preceduto. Non è qualcosa che viene detto apertamente, ma lo si avverte ovunque: negli sguardi di chi sa che provieni dal Rosso Maniero, negli ex Allievi più anziani, nella retorica stessa dell’Istituto e dell’Associazione. Aver frequentato la Nunziatella è un onore che implica, quasi per definizione, il dover eccellere sempre, qualunque sia il percorso intrapreso o nel quale ci si ritrova. Essere ex Allievi significa convivere con aspettative importanti e sentire il dovere di soddisfarle. Per molti, la carriera militare rappresenta una continuità naturale, capace di soddisfare quelle aspettative sin dal principio. Al contrario, il percorso civile richiede uno sforzo maggiore: non esistono sentieri già tracciati, bisogna imparare a convivere con l’incertezza e si può dimostrare di essere all’altezza delle aspettative solo nel lungo periodo.
Chi sceglie questa strada deve imparare a navigare tra deviazioni, fallimenti e ripartenze, mentre il bisogno di affermarsi e di dimostrare qualcosa, agli altri e a sé stesso, resta sempre presente. In certi momenti, il peso delle aspettative può diventare soverchiante, soprattutto quando si ha la sensazione di perdere tempo o restare indietro, con l’eco di quel monito: “il perder tempo a chi più sa più spiace”.
In questo percorso ho percepito spesso una distanza significativa con le generazioni precedenti di ex Allievi, celata dietro domande all’apparenza innocue, come “Perché hai intrapreso la carriera civile? Perché hai scelto proprio questo percorso di studi?”, talvolta accompagnate da luoghi comuni. Frasi che si scontrano con una realtà profondamente diversa da quella che loro hanno vissuto. Oggi trovare il proprio spazio richiede fatica, pazienza e una certa dose di tolleranza verso l’ambiguità. Non sempre, da fuori, si coglie quanta complessità, quanta incertezza e, a volte, quanta angoscia si nasconda dietro ogni scelta. In percorsi così complessi è fondamentale avere punti di riferimento solidi, e l’Associazione deve ambire sempre più a essere uno di questi. Per me l’Associazione, tramite la Sezione Puglia, lo è stata grazie a figure fondamentali. Ho avuto la fortuna di avvicinarmi all’Associazione già da Allievo, grazie a due straordinari ex Allievi della Sezione con cui ho coltivato un rapporto nel tempo. La loro esperienza mi è stata fondamentale per affrontare con più lucidità e forza il cammino che avevo davanti. Ho beneficiato anche dell’iniziativa del Mentoring tra ex Allievi, un esempio virtuoso all’interno della nostra comunità, che permette di avere almeno un riferimento per affinità di percorso. Una realtà preziosa, che andrebbe ampliata e resa parte strutturale della cultura associativa.
Le differenze generazionali all’interno dell’Associazione compromettono la partecipazione dei più giovani
alla vita associativa, che risulta spesso poco allineata, al netto di selettive eccezioni, alla situazione attuale e ai cambiamenti delle nuove generazioni di ex Allievi. Il percepito è che l’Associazione tenda a riflettere più un vissuto del passato che a gestire il presente guardando verso il futuro. L’Associazione, anche grazie all’ingresso di ex Allievi più giovani negli organi collegiali, ha iniziato a cambiare e deve continuare su questa strada. Deve liberarsi da logiche di potere, divisioni e personalismi. Deve essere un luogo che accoglie, guida e ascolta senza giudicare. Solo così potrà restare viva davvero, soprattutto tra i più giovani, mettendo in dialogo esperienze diverse, tutte unite dallo stesso spirito. La forza della Nunziatella non risiede solo nella sua storia, ma nella capacità di affrontare insieme il cambiamento, anticipando e accogliendo le trasformazioni sociali e generazionali che, inevitabilmente, ci riguardano tutti.
Tommaso Formichini 20-23, 20 anni, Studente Universitario
Definire in modo univoco, chiaro e coinciso che cosa sia la Scuola Militare Nunziatella, che cosa questa abbia insegnato a noi ex allievi è alquanto difficile, oserei dire impossibile anche perché ognuno di noi potrebbe fornire una differente e significativa visione della propria esperienza.
Sicuramente la Nunziatella insegna ad amare la Patria, insegna come essere d’esempio, insegna a sapersi rapportare con i superiori, gerarchici e non…certo, tutti valori che ci accomunano in quanto ex allievi, sicuramente.
Ogni singolo allievo apprende all’interno della Nunziatella valori che saranno punti cardine della sua vita, brocardi per le proprie professioni future, che, conscio delle passate esperienza, saprà sicuramente affrontare e superare con il massimo risultato possibile.
È opportuno però concentrarsi su quello che accade al termine dei tre anni passati all’interno delle mura del Rosso Maniero, in cui gli allievi, entrati orami nella schiera degli ex allievi, si trovano catapultati in realtà universitarie/accademiche diverse, per certi aspetti, da quella della Scuola. Ecco, in questa nuova realtà, il ruolo materno svolto dalla Nunziatella negli anni precedenti, quale levatrice di giovani ragazzi di 14/15 anni provenienti da tutta Italia, dovrà essere assunto dall’Associazione Nazionale,dai singoli ex allievi che hanno condiviso la medesima esperienza, seppur in periodi storici differenti.
L’Associazione Nazionale è investita dell’arduo compito di creare opportunità per i giovani ex allievi, di coltivare quegli insegnamenti di vita che la Nunziatella ha infuso all’interno di ogni singolo allievo, in particolar modo nei conforti di coloro che non intendono perseguire il percorso Accademico, in quanto consapevoli del loro differente percorso “a tappe” rispetto all’iter formativo di stampo Forza Armata.
L’Associazione quindi deve fungere da ponte di collegamento, da faro luminoso per i giovani ex allievi che si prestano a ripercorre in maniera speculare il percorso passato, dapprima cappelloni, ignari e inconsapevoli di quello che affronteranno la mattina dopo, poi signore cappelle, consapevoli e consci del loro ruolo, e infine anziani, frutto maturo del Rosso Maniero.
Possiamo, infine, comunemente convenire nel fatto che questo compito affidato all’ Associazione può essere coltivato, se non fortificato, dal singolo aiuto di ogni ex allievo, che, come sappiamo, è possibile trovare in qualsiasi campo professionale.
Tommaso Pagano 05-08, 35 anni, Addetto Controllo e Antiriciclaggio Artigiancredito
Il tema attorno cui ruota l’incontro di oggi è quello dell’Humanitas, un termine questo, che qualcuno di voi potrebbe giudicare quasi arcaico; soprattutto al giorno d’oggi, dove l’intelligenza artificiale ha iniziato a cambiare enormemente le nostre vite; eppure. Io vi dico, eppure, che proprio oggi è assolutamente necessario recuperare il “sentiment” e le suggestioni evocate da questa parola.
Se cercate la definizione di Humanitas, scoprirete che essa è quel tipo di educazione, quell’ aspirazione, a coltivare le virtù che distinguono l’essere umano da ciò che non lo è.
Già solo questo vi dice quanto e perché sia importante recuperare un concetto così fondamentale.
In un’epoca dove, come vi accennavo poc’anzi, l’IA riesce a dare risposte a tematiche anche complesse, a stilare pareri e istruttore in tempi irrisori, le sole cose che possono rendere l’essere umano insorpassabile, sono proprio quelle caratteristiche che la tecnologia non riesce ad imitare, ovvero quelle tipiche del concetto di Humanitas. Caratteristiche che noi Ex Allievi abbiamo ampiamente interiorizzato proprio grazie al percorso formativo che abbiamo intrapreso scegliendo di andare alla Nunziatella.
Quegli anni sono stati così brevi ma, come scoprirete, anche enormemente significativi, tanto da aver influenzato tutto il resto delle nostre vite; e probabilmente, proprio grazie ai valori che abbiamo appreso in quegli anni, tra cui quello dell’ Humanitas.
Arrivati a questo punto, vi starete chiedendo, quasi certamente, come definisco io questo concetto e quali valori positivi vi riconducono, per decantarlo tanto.
LA CAPACITÀ DI ADATTAMENTO
Il primo vero valore che collego al concetto di Humanitas è l’eccezionale capacità d’adattamento. Tutti noi presenti a quest’evento di oggi abbiamo dimostrato, a soli quindici anni, una capacità di adattamento eccezionale, passando, in tempi brevissimi, dal vivere a casa coi genitori, senza il minimo pensiero e con la possibilità di essere totalmente irresponsabili, ad una situazione completamente opposta. Abbiamo abbracciato una rigida vita militare, cosa che molte persone non farebbero mai volontariamente, abbiamo lasciato a casa i nostri cari e ci siamo caricati di responsabilità che volendo, avremmo anche potuto evitarci.
Lo abbiamo fatto invece.
Abbiamo imparato ad essere responsabili per le nostre azioni, ad obbedire e a rispettare le gerarchie, tutto questo senza mettere da parte fantasia ed individualismo.
Abbiamo imparato a dare il meglio di noi stessi nonostante le asperità, a saperci reinventare di continuo e a non arrenderci mai.
Tutto questo, è un valore senza prezzo e ci accomuna tutti, a prescindere dall’anno in cui siamo entrati a Scuola e da quale piano formativo abbiamo seguito.
Non avremmo mai potuto fare tutto questo, però, senza potenziare quella grande capacità di adattamento che già avevamo dimostrato di possedere fin dai primi tempi, ma che necessitava di una spinta in più per sbocciare. A cosa credete che servisse, passare da una sveglia militare, ad una mattinata sui libri, quindi all’addestramento formale, poi di nuovo sui e ad una chiusura della giornata di nuovo militare? Proprio ad impartirci una forma mentis duttile, adattabile, in grado di farci passare in un secondo da una cosa all’altra.
Questa capacità l’ho vista in numerosi ex allievi, tutti l’abbiamo interiorizzata e conservata. Emerge dalle storie di tutte quelle persone che con una scelta repentina sono passate da un tipo di vita ad una totalmente diversa. Ne abbiamo numerosi esempi anche a quest’evento di oggi. Ho visto diversi esempi in tal senso, anche in ex allievi in là con gli anni e facenti parte della mia stessa sezione.
L’ho visto in me, quando nel 2019 ho accettato una proposta di lavoro in Toscana, cambiando di punto in bianco città e vita.
Da 2019 al 2022 ho cambiato tre lavori, prima di arrivare a quello attuale; adattandomi a mansioni sempre diverse, a diversi modi di instaurare o meno il rapporto e diverse cose da fare, tutto questo velocemente e in un’epoca molto complicata. Lo sapete tutti, pandemia, crisi economica, crisi climatica e guerre, non mi dilungherò su questo.
Ogni volta ho saputo farlo, ogni volta ho saputo adattarmi, ho saputo fare mia la situazione e ho saputo andare avanti. Questo però è solo un granello dell’ Humanitas, dalla quale non possono essere sottratti altri valori.
CAPACITÀ DI OSARE
L’altro valore che ricollego al concetto di Humanitas è la capacità di saper osare. Un’intelligenza artificiale, per quanto sia in grado di risolvere velocemente problemi e dare delle risposte, non potrà mai andare oltre alcune linee base date alla sua programmazione, difficilmente sarà in grado di osare e ragionare fuori dagli schemi.
Parlate con chi vede noi ex allievi da fuori, con chi non ha ricevuto il nostro stesso tipo di educazione, vedrete, che l’ex allievo, visto da fuori, sembra quasi impulsivo. Non è così, l’ex allievo viene abituato, fin dall’adolescenza, a pensare veloce e fuori dagli schemi, a prendere, nello spazio di un battito di ciglia, quelle decisioni che paralizzerebbero molte persone e che potrebbero condizionare i suoi anni a venire.
Non dico che è una dote solo nostra, vi dico, che veniamo educati fin da subito a muoverci così però è una capacità simile richiede anni di pratica ve l’assicuro.
Questa dote, che io ricollego all’Humanitas è che va a Braccetto con la capacità di sapersi adattare, come avranno già scoperto molti di voi, ci rende risorse inestimabili in qualsiasi carriera decidiamo di intraprendere e ci porta spesso ad eccellere.
L’ AMBIZIONE INDIVIDUALE E DI GRUPPO
La voglia di emergere, l’ambizione quindi, è un’altra caratteristica che io non riesco a scindere dal concetto di Humanitas.
La nostra, tuttavia, non è la mera ambizione di farcela e basta, è, piuttosto, voglia di dare sempre il massimo, di riuscire a risolvere nel concreto i problemi e di fare davvero le cose. Di vivere al mille per mille. Non è semplicemente la voglia di scalare l’intera catena di comandi, quanti, piuttosto, la voglia di essere i migliori in quello che stiamo facendo, cosa che ci porta ad un costante migliorarci.
Sarà che siamo cresciuti ripetendo quella frase a noi tanto cara, ovvero “ESSERE PIÙ CHE SEMBRARE”.
Siamo gli uomini e le donne del fare. Siamo quelli a cui rivolgerci se un compito va portato a conclusione.
Il tipo di ambizione che abbiamo appreso, tuttavia, non è solo individuale. Siamo cresciuti con l’idea di appartenere ad una grande famiglia, ad un qualcosa più grande di noi. Ed ecco, quindi, che se un ex allievo si trova in un momento di abbattimento, ne spunta subito un altro pronto a ricordagli di quale comunità fa parte, quale educazione ha ricevuto e che si deve imparare da chi si frequenta. L’ho visto nella mia stessa esperienza personale. In un momento di abbattimento, mi è stato ricordato di puntare nuovamente in alto, rischiando tutto e scommettendo sulla via che sembrava meno realizzabile, ma più promettente. Ancora oggi ringrazio quell’ex allievo.
Qualcuno potrebbe dire che era semplicemente un discorso tra amici, andrebbe però sottolineato che quasi non ci si conosceva. Era qualcos’altro quindi, era quell’ambizione di gruppo che ho citato poco sopra. Un’ambizione che ti porta orgoglio per i successi altrui, come dispiacere per le loro sconfitte.
Potrei continuare indicando altri valori che mi piacerebbe indicare come elementi fondanti dell’Humanitas e che abbiamo appreso a scuola, ma finirei per dilungarmi troppo.
Concluderò questo mio intervento, quindi, dicendo che è questo il contributo che spero di poter dare alla Nunziatella e all’Associazione in futuro, ovvero quello di saper trasmettere agli altri quanto è stato trasmetto a me e di diventare, quindi, veicolo di quest’Humanitas che accomuna molti di noi.
Per fare ciò, chiaramente, sarà necessario moltiplicare i contatti tra di noi, fare rete è unirci, superando le differenze d’età e di carriera.
Questo è l’altro grande scopo di quest’evento, che non possiamo far altro che augurarci di vederlo replicato.
Guglielmo Brancato 13-16, 27 anni, a) Produttore Cinematografico e Regista, b) Cybersecurity
Ogni volta che un fulmine squarcia il cielo, illuminando la notte con la sua luce effimera e potente, il mio cuore ritorna, come sospinto da un’antica eco, ai ricordi più intensi e struggenti della mia giovinezza. Ricordi che affondano le loro radici nel tempo della Nunziatella, quando correre a Mergellina dopo aver divorato quattrocento grammi di pasta, per poi ripetere cento volte la lezione del giorno dopo, sembrava il più perfetto degli equilibri. Quando il cuore batteva all’unisono con il richiamo del Tenente, e il sonno si faceva attendere, interrotto da notti inquietate dall’ansia e da giornate sorrette solo da qualche caffè e centinaia di piegamenti.
Ad ogni saetta nel cielo, la mia mente si accende come una sinapsi impazzita, a caccia delle armonie della nostalgia. Non poteva che essere così: a tanta felicità non poteva che seguire un’altrettanto intensa malinconia. Su questa dialettica degli opposti ho forgiato la mia personalità.
Mi chiamo Guglielmo Brancato, classe 2013–2016, corso 226K, Classico B. Ero uno degli “scoppiati”, e portavo con fierezza il pollo nero al contrario, quando le circostanze lo richiedevano. Ero convinto che la mia vita sarebbe proseguita nell’esercito o in Marina. Ma l’ultimo anno portò con sé il conforto dell’anzianità, la scoperta dell’amore, e la rivelazione di un’anima forse troppo ribelle per la divisa. Così abbandonai il sogno militare, salvo poi, anni dopo, sentire una struggente nostalgia dell’uniforme.
Nel decennio trascorso dalla fine della scuola, ho raccolto dentro di me le riflessioni che oggi plasmano il mio sguardo sul mondo. Quel lampo che un tempo evocava il sogno della Folgore, poi divenuto simbolo della differenza di potenziale studiata nei miei corsi di Fisica, oggi si manifesta come un bagliore neutro, privo d’incanto. Forse è questo il prezzo della maturità: perdere la meraviglia dello sguardo infantile.
Durante gli anni dell’università, nel mezzo di una laurea in Fisica, ho scoperto un’insopprimibile nostalgia per i miei compagni di classe. Il dolore del distacco mi ha aperto le porte all’arte, dapprima nella fotografia, poi nel cinema. Con timore, accettai che avrei visto i miei coetanei ricevere stipendi, formare famiglie, trovare stabilità prima di me. Ma la Nunziatella mi aveva insegnato a pianificare, a mitigare i rischi, a non cedere al disordine: e in quel contesto, la Fisica divenne la mia risposta razionale.
A chi condivide con me questo tempo incerto, dico: non precipitatevi a trasformare ogni passione in lavoro. Coltivate invece percorsi paralleli, che siano sostegno e trampolino. Oggi svolgo il mio secondo tirocinio in ambito corporate e mi interesso di cybersecurity, un mondo che mai avrei immaginato potesse affascinarmi. A breve inizierò una magistrale in Global Management, con il sogno di diventare il buon amministratore delle mie imprese future.
Il mio secondo consiglio: anche se amate un settore, non accontentatevi di lavorarci. Immaginatevi imprenditori, fin da subito. Costruite indipendenza e visione. Che sia nell’arte, nella scienza, o nella cultura umanistica: lavorare è un bene, e lavorare in ciò che si ama lo è ancor di più.
Ho spesso sentito il peso di vincoli sociali: guadagnare, seguire strade già tracciate, non rischiare. Ma l’Associazione mi ha sostenuto, insegnandomi quando fosse il momento di ricevere e quando quello di restituire. Il mondo del cinema, oggi più fragile che mai per via di scelte politiche e tagli istituzionali, mi ha messo alla prova. Ho subito truffe, ho rischiato di perdere la fede nella mia vocazione. Ma tra i fratelli ex allievi ho ritrovato forza: qualcuno ha creduto in me, fin dai tempi della scuola, solo per stima e spirito di fratellanza.
In questo cammino ho compreso quanto il mondo soffra per un male antico: la diffidenza dei più anziani verso i più giovani. Non so se nasca da insicurezza o dal timore di perdere un ruolo nel futuro. Ma è un male che ci impoverisce. Anche il cinema italiano ne è vittima, ripetendo stancamente se stesso, incapace di cedere spazio alle nuove visioni.
Innovare è l’unico modo per custodire il passato. Solo attraverso il dialogo tra esperienza e audacia, tra chi ha vissuto e chi sogna, possiamo costruire qualcosa di eterno. I giovani fremono per agire, e nella storia dell’umanità sono stati proprio i giovani a compiere le imprese più grandi: Alessandro Magno, Majorana, Einstein. Ma anche loro non sarebbero esistiti senza qualcuno che credesse in loro.
È giunto il momento per l’Associazione di guardarsi dentro e riscoprire la propria missione. ANEAN può essere la comunità più influente d’Italia, forse del mondo. Ma serve riconoscere che il sapere non è solo medico, militare, giuridico o tecnico. Il cinema, le arti, la creatività sono industrie del presente, non nostalgie del passato. L’umanità dei nostri percorsi, forgiata nella disciplina della Scuola, è la nostra forza.
Siamo l’intera enciclopedia del sapere umano, declinata in carne viva. Potremmo cambiare il mondo. La domanda non è se possiamo.
È: cosa stiamo aspettando?
A colpi di penna
Amore, anomalia dell’ordine naturale (Pierfederico Tedeschini 08-11)
Edito da Futura libri e distribuito da Feltrinelli, questo libro è nato dopo la partecipazione di Pierfederico al 78° Festival del Cinema di Venezia per le musiche di un film lui composte. Questo libro è un romanzo d’amore moderno, e per moderno si intende di un amore che non nasce dall’umano scambio di sguardi ma da un parlare in chat. Certo è che l’evoluzione digitale possa aiutare la società in molti aspetti ma forse i sentimenti ed i sensi umani non possono essere trasmessi via cavo o via satellite. Il cane urina secondo odori e sensi di territorio, nessuno potrà mai limitarlo ad una mappa digitale. L’amore e l’attrazione sentimentale può nascere senza gesti e parole legate ad espressioni?
Ad oggi c’è chi vive storie sentimentali nate via chat ma ancora le racconta autonomamente tramite carta e penna.
Guido Barlozetti, giornalista e critico RAI, dice del libro: “È un racconto pieno di diminutivi questo di Pierfy che rimanda in tutta evidenza a chi l’ha scritto. Pierfederico. In un mondo che ha fretta anche i nomi si adeguano.
Scrivere è sempre un atto che mette a confronto con se stessi e Pierfy lo fa con un resoconto in terza persona di un amore finito male che gli diventa anche una considerazione filosofica e un titolo. Amore anomalia dell’ordine naturale. Anomalia perché nell’esperienza di questo sentimento Pierfy si ritrova con la tristezza di una delusione e la scoperta dell’opportunismo che vi si nasconde, chiude la porta e non dà spiegazioni. Ma lui è forte, con il “pensare fuori moda” di chi prende le cose come vengono, con il fatalismo di un’ironia un poco malinconica che però mette in distanza tutto, Vale (che forse, s’intuisce, qualche serio problema ce l’ha…) e tutto il resto della tribù dei nomignoli, Renny, Jek, Kin, Giò, Egy, Lety… Gli unici che si salvano sono Lia, forse, e il nonno Sandro, che sono anche quelli che Pierfy riconosce degni di qualcosa verso cui resta diffidente, la fiducia. Scorre via leggero questo resoconto, tra Reggio Emilia e soprattutto Orvieto, “pacioso paesino” – un altro diminutivo a stuzzicare l’orgoglio degli abitanti della Rupe – incontri, baci, famiglie che vegliano sui rampolli come si faceva una volta, vino e cene, bar storici e Umbria Jazz. Scorre via e Pierfy dà l’occasione a Pierfederico di farsi una ragione di quello che gli è accaduto. Non è successo solo a lui, sono in tanti che hanno usato e usano un foglio bianco per versarci sopra il distillato della propria vita. E scrivere “un libro di lagne e di lamenti” non è poi tanto lontano da quell’Arte di essere felici di Arthur Schopenhauer che la madre di Vale regala a Pierfederico.”
Una fiamma d’argento in guerra. Storia e memorie di un carabiniere reale 1915-1917 (Paolo Pozzato – Flavio Carbone 84-87)
Flavio Carbone, corso 1984/1987 (197° corso), è un ufficiale superiore dei Carabinieri proveniente dal 169° corso “Orgoglio” dell’Accademia Militare in servizio con l’incarico di Redattore Capo della Rassegna dell’Arma dei Carabinieri. Da oltre vent’anni si occupa di storia delle Forze Armate, di storia delle istituzioni militari, di storia militare, con particolare attenzione alla storia dell’Arma dei Carabinieri. Ha pubblicato 7 volumi, curati altri 6 e dato alle stampe oltre 100 tra articoli, saggi, contributi a convegni nazionali ed internazionali. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia Contemporanea, il diploma (V.O.) di “Archivista Paleografo”, un dottorato in Archivistica, tutti presso l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”.
Tra i suoi ultimi contributi, si segnala il volume “Una fiamma d’argento in guerra. Storia e memorie di un carabiniere reale 1915-1917” di cui è stato curatore insieme a Paolo Pozzato. I due curatori ripropongono un testo inizialmente pubblicato dal capitano Luigi Santovito apparso negli anni Trenta e irreperibile da tempo. Nel testo originario l’autore racconta le sue esperienze nel primo Conflitto Mondiale trascorsi oltre dieci anni dalla guerra. Si tratta di un testo asciutto privo delle retoriche del Ventennio che conduce il lettore nella quotidianità dei Carabinieri al fronte. Una fiamma d’argento in guerra è stato organizzato in due parti: la prima dedicata alla vita e al servizio di Santovito a firma del tenente colonnello Flavio Carbone, ed una seconda che contiene la trascrizione del volumetto sulla Grande Guerra a cura del professor Paolo Pozzato. Il volume è inserito nelle iniziative del progetto del podcast “La Storia dei Carabinieri”.
Il podcasting come opportunità di crescita personale e professionale. Il progetto “La Storia dei Carabinieri”
Il progetto “La Storia dei Carabinieri” costituisce un’iniziativa avviata dall’ex allievo a partire dal 2020, con l’obiettivo di far conoscere al grande pubblico la storia dei Carabinieri, dei singoli militari e dell’Istituzione nell’ambito della più grande storia d’Italia. Del progetto, il podcast omonimo rappresenta l’architrave intorno alla quale ruota tutto l’intero progetto (disponibile su tutte le piattaforme di ascolto, qui il link a podcast index). Dall’avvio di queste attività nel mondo della comunicazione digitale, l’interesse verso il podcasting è aumentato, dando vita così ad altre iniziative che utilizzano la voce. Si segnalano quindi gli altri podcast realizzati dallo stesso autore: Testimoni della Storia 1943, dedicato a figure di italiani che nel 1943 si sono distinti nell’attività a difesa del nostro Paese (disponibile su tutte le piattaforme di ascolto, qui il link a podcast index); Nunziatella 1984-1987. Memorie, ricordi, emozioni, realizzato in occasione del quarantennale del proprio corso (disponibile su tutte le piattaforme di ascolto, qui il link a podcast index); Voci dalla Rassegna, un podcast curato dalla Redazione della Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, la rivista scientifica dell’Istituzione (disponibile sul sito Carabinieri.it, nell’area Media & Comunicazione, Podcast, qui il link). Senza abbandonare lo studio delle humanities, l’interesse si è così spostato su di un nuovo media che offre opportunità in campo della comunicazione digitale che appaiono una sfida in termini di impegno e di altri tipi di pubblico da interessare.
I capi e la loro preparazione morale alla funzione del comando (Ferdinando Scala 84-87)
Saggio di etica militare e civile originariamente scritto da Armando Tallarigo (corso 1878), eroico comandante della Brigata Sassari durante la Grande Guerra, comandante della Scuola di Guerra e Senatore. Il volume attuale è la versione comparata e moderna delle tre edizioni originali. Si tratta di un saggio che percorre tutti gli aspetti della preparazione morale dei leader in campo militare e civile, nel quale non solo si identificano le caratteristiche di un capo, ma si forniscono utilissime indicazioni su come automotivarsi, e su come accrescere e mettere a frutto la propria naturale propensione alla leadership. Una lettura agile ed appassionante per chiunque sia o voglia diventare comandante o dirigente. Il volume è disponibile direttamente presso l’Autore.
Ferdinando Scala, corso 1984-87, biologo, storico militare, giornalista, consulente di strategia ed innovazione a livello internazionale nel settore healthcare. Responsabile Comunicazione e Cultura dell’Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella e Direttore di Rosso Maniero.
La scrittura è nata con me, come naturale prosecuzione della mia vorace ricerca di sempre nuovi libri da leggere. Da bambino scrivevo racconti, prima a mano, poi sulla macchina da scrivere di mia madre. Su questo istinto si è innestata la smodata passione per la Storia in generale e per la Storia della Nunziatella in particolare. Partendo dall’esperienza come Editor su Wikipedia, ho sviluppato la determinazione di pubblicare finalmente qualcosa di mio. Studiando alcuni documenti, ho scoperto che dal Masso mancava un nome, quello del tenente colonnello Federico Mensingher. La sua storia è stato il mio primo lavoro, che ha avuto come conseguenza diretta l’incisione del suo nome sul nostro Monumento. Da quel momento, ho pubblicato cinque libri – tra cui uno fondamentale sui Generali italiani della Grande Guerra – un sesto è finito e in corso di pubblicazione ed un settimo è in gestazione avanzata. Seguo inoltre un altro progetto editoriale, del quale se tutto va bene parleremo in futuro.
Per quanto riguarda il conciliare la scrittura con la vita familiare e lavorativa, la risposta semplice è: non si può. Di giorno svolgo la mia professione, che mi impegna completamente, poi mi dedico alla famiglia. Dopo di che, quando tutti vanno a dormire, scatta il momento dello studio e della scrittura.
La connessione con l’essere un Ex Allievo della Nunziatella è immediata e risponde innanzitutto al motto “Il perder tempo a chi più sa, più spiace”. Oltre alle sessioni notturne, che ci ricordano immediatamente lo studio sotto le coperte dopo il silenzio, sfrutto il più piccolo momento libero dai miei impegni principali per studiare o scrivere. Un viaggio in treno verso l’ufficio, l’attesa di un imbarco in aereo, una pausa lavorativa, anche dieci minuti vanno bene per studiare o scrivere un pezzettino di qualcosa. E quando si mettono insieme tutti questi dieci minuti, essi si trasformano in ore, giorni e in risultati concreti.
Quindi il mio consiglio è: trovate una passione divorante e dedicatele tutti i ritagli di vita, con costanza, dedizione e concentrazione assoluta. Vi costerà fatica, ma siete Ex Allievi: volere è potere.
Guerra economica: Modelli decisionali e intelligence economico finanziaria (Massimo Franchi – Alberto Caruso de Carolis 81-84)
Licosia Editore 2018. L’Intelligence Economica diventa non solo fondamentale, ma risorsa necessaria per sopravvivere; occorre fare in modo che almeno un attore dello Stato-nazione possa trovarsi al tavolo che conta, quello dei decision-makers globali, e rappresentare gli interessi della cittadinanza o della maggior parte della stessa.
Il testo è citato tra le pubblicazioni relative alle discipline dell’Intelligence e del controspionaggio nella bibliografia dell’Intelligence “LEGGIAMO L’INTELLIGENCE” sezione “Ints & contro” (pagg. 35- 53), edita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica (https://www.sicurezzanazionale.gov.it/contenuti/leggiamo-lintelligence).
L’idea di scrivere questa monografia è nata quasi casualmente nell’ambito dei rapporti con l’altro autore, il Prof. Massimo Franchi, con cui facevo parte nella delegazione italiana presso la CIOR, l’organizzazione di ufficiali della riserva militare del mondo impegnata a consigliare e sostenere la NATO in materia di riserva, promuovere il servizio di riserva e favorire lo sviluppo professionale degli ufficiali di riserva. Le competenze sulla geopolitica e la global economy del Prof. Franchi, la mia esperienza investigativa e di intelligence maturata in servizio presso la Guardia di Finanza, combinata con quella ventennale da dirigente d’azienda in un settore fortemente condizionato dalla tecnologia e dagli eventi geopolitici quale quello del trasporto aereo, ci hanno consentito di comporre ordinatamente argomenti, anche molto diversi tra loro, in questo studio. Questo è tra i primi nello specifico settore ad affermare l’utilizzo della leva economica come strumento militare e a suggerire il necessario adeguamento e sviluppo delle attività di intelligence allo specifico dominio, di cui ho suggerito un modello operativo, configurato all’interno di un framework etico e di legalità. A seguito di questa coinvolgente esperienza, ho collaborato ad altre iniziative editoriali di approfondimento su argomenti specifici, quali ad esempio, da ultimo, con l’Associazione Esperti in Infrastrutture Critiche, “La protezione degli spazi pubblici” e “La Direttiva (UE) 2022/2557: La resilienza dei soggetti critici”.
La prima esperienza editoriale, benché nata casualmente, ma essendo basata su esperienze reali e vicende vissute, si è rivelata essere una sorta di rievocazione del mio vissuto complessivo, sebbene riportata sotto forma di manuale operativo; tale emozione mi ha portato a scrivere di getto anche perdendo la cognizione del tempo, sia per il trasporto nell’esposizione delle tesi che per il rispetto verso gli altri co-autori, in termini di adeguatezza dei contenuti e di rispetto dei termini. E certamente questo si lega agli insegnamenti di vita appresi nel periodo della Scuola, in cui affianco all’impegno personale non può che affiancarsi anche un impegno all’appartenenza al gruppo di cui si fa parte e su cui poter fare affidamento.
Chissà (Giovanni De Leva 77-80)
I Trecento della Locusta – Storie non raccontate (Antonio Urbano 69-72)
Le vicende che ebbero luogo nell’area del Golfo Persico, fra l’agosto del 1990 ed il marzo del 1991, tennero il mondo con il fiato sospeso e gli occhi incollati al televisore. Nel giro di pochi mesi nacque, si sviluppò e si concluse la fase culminante di una crisi che avrebbe potuto evolvere in maniera estremamente drammatica. Anche l’Italia si affacciò con pretese da protagonista sulla scena internazionale e volle seguire, nelle loro scelte, quei Paesi più esperti e più inseriti nel contesto politico ed economico dell’area in questione. Se si escludono alcuni momenti di partecipazione, limitati quasi sempre al ruolo di comparsa, a partire dal secondo dopoguerra la neonata Repubblica Italiana si era raramente impegnata nelle crisi internazionali, soprattutto nel settore militare, limitandosi comunque ad operazioni rivolte al mantenimento di situazioni di tregua o a interventi di carattere umanitario. Valutando i positivi risultati raggiunti dall’operazione Locusta, che vide il ritorno in azione delle armi italiane dopo 45 anni di non impiego in operazioni militari reali, sembra possibile mettere da parte lo stereotipo dell’Italiano incerto, fannullone, perennemente al traino e sempre pronto a cambiar parere; tuttavia un esame più attento e smaliziato, soprattutto da parte di chi quegli eventi li ha vissuti come protagonista, fa riemergere quelle particolarità e singolarità di comportamento, tipiche del nostro popolo che, se non superate dal coraggio, forza di volontà, spirito di iniziativa e fantasia dei pochi direttamente impegnati sul campo, non avrebbero di sicuro consentito di ottenere risultati così positivi in quel contesto. In questo lavoro, frutto della collaborazione di molti, si intende dare voce a chi visse quei giorni sulla propria pelle, mettendo improvvisamente in pratica anni di addestramento, immerso nella “Tempesta del Deserto”, quasi senza essersene reso conto, passando da giornate spensierate, ricche di esperienze professionali e personali gratificanti, a giornate di inaspettato impegno mentale e fisico. Chi era approdato in quel deserto, per vivere quella che sembrava essere l’ennesima esperienza addestrativa internazionale, si trovò ben presto a fare i conti con l’ansia e la preoccupazione di chi ha visto propri compagni abbattuti in azione, poi prigionieri e dispersi, visto missili in volo, nuvole di contraerea, segnali radar di puntamento, e percepito finalmente il vero significato di parole quali “minaccia nemica”, “tattiche evasive” “bombe sganciate”. Il punto di vista di un “reduce” è sempre stato particolarmente critico, ed il suo giudizio nei confronti delle azioni di altri attori non impegnati direttamente negli eventi, è sempre stato viziato dal “io c’ero tu no”. Ho deciso così, a più di trent’anni di distanza dall’operazione, di dare corpo ad una raccolta di documenti, impressioni e inedite esperienze personali di chi visse quei giorni senza averle mai diffuse, se non in ristrette cerchie familiari e di lavoro. La raccolta ha la pretesa di costituire anche un riferimento per chi volesse approfondire e conoscere gli aspetti reali della vicenda, grazie alle testimonianze di chi non ha mai raccontato, a documenti che potrebbero andare persi o dimenticati in qualche archivio e a immagini non ancora visionate, anche a rischio di offuscare in parte quell’aurea di efficienza ed efficacia che, in quei giorni, colpì l’opinione pubblica. Filo conduttore saranno gli appunti che quasi tutte le sere, in quei mesi, annotavo su un mio minuscolo taccuino che mi ha seguito per tutto il periodo. Poche righe al giorno che oggi mi consentono di richiamare alla mente gli avvenimenti, collocandoli nella giusta sequenza e con i corretti particolari. Cosa che, come ho notato, non sempre avviene per altri che hanno invece conservato flash di avvenimenti, magari un po’ alterati dai meccanismi della memoria e con sequenze temporali errate che a loro volta portano a errate interpretazioni. Le righe scritte all’epoca sono riportate intervallate al testo in corsivo e nella loro integrità, inclusi gli errori di ortografia e sintassi, piuttosto che termini dialettali o gergo militare.
La narrazione contiene anche ricordi personali e annotazioni di diversi altri partecipanti, spesso tenuti per sé o raccontati solo a pochi intimi, magari nel corso degli incontri fra reduci: da qui il titolo “I Trecento della Locusta – Le storie non raccontate”. In realtà il numero di militari che furono assunti ufficialmente in forza dal distaccamento, anche solo per pochi giorni, arrivò alla cifra di 798, a cui andrebbero aggiunti i numerosi equipaggi di volo dei velivoli da trasporto e di collegamento, ma la forza presente giornaliera si aggirò sempre intorno al numero dei più noti valorosi eroi delle Termopili. Nel libro si parlerà in particolare di Aeronautica Militare e dei suoi uomini, dei personaggi che ebbero molta importanza e poca fama e di quelli che ebbero molta fama malgrado il loro limitato apporto. Si toccheranno, solo superficialmente, le vicende politiche e le decisioni di alto livello, già analizzate ampiamente in altri importanti lavori, ma si parlerà dei numerosi conflitti interni che scoppiarono fra centri di potere e fra singoli attori, di maggiore o minore rilevanza, che precedettero lo sgancio della prima bomba. Si potrà conoscere, in sostanza, la testimonianza di coloro che vissero quei giorni ed assistettero all’evolversi di quelle dinamiche da un privilegiato punto di osservazione. Testimonianza di chi, in uno stato d’animo di ferma determinazione e serenità, ma condita con una punta di amarezza, attendeva che il vero conflitto scoppiasse con la certezza di venirne ad essere interessato in prima persona. E si parlerà di volo. “Finché c’è vita c’è speranza” è questa la celebre citazione attribuita a Marco Tullio Cicerone che siamo abituati a sentire, ma se il volo ha sempre pervaso in maniera aggressiva tutta una vita non è la stessa cosa affermare che “Finché si vola c’è speranza”? Da molto tempo rispondo con questa frase alle varie domande, più o meno di cortesia, sul mio stato di salute o di spirito. Sicuramente l’utilizzo della frase è diventato più frequente ora che vedo avvicinarsi il momento in cui dovrò abbandonare l’attività che mi ha accompagnato per
tutta una vita e continua a riempire le mie giornate. Non ho mai considerato il volo un lavoro o una professione, difficilmente ho volato per puro divertimento, lo considero come parte integrante della mia vita. Di ogni volo considero prevalente lo scopo per cui decollo, il motivo per cui lo faccio, in altre parole la “missione” contenuta nel volo stesso. Il completare o meno una missione è direttamente proporzionale alla soddisfazione che il volo mi offre e questo mi porta ad un’altra frase che spesso utilizzo in risposta a chi mi augura buon divertimento prima di un volo “In volo non mi diverto, ma provo
soddisfazioni”. Sono convinto di aver già volato in un tempo remoto precedente la mia nascita, forse ha ragione chi afferma che nei cromosomi umani è rimasto qualcosa di un passato assai remoto in cui nostri progenitori volavano, magari con propri mezzi prima di una evoluzione della specie che ci ha reso animali ancorati alla terra, o forse ha ragione chi dice che la nostra anima passa attraverso varie fasi di reincarnazione, fra cui quella in creature volanti. Per me non ha importanza quale teoria sia vera, so di aver già volato e che questa mia affinità al movimento nella terza dimensione dipende da questo. Prima di passare alla descrizione degli eventi e di immergerci in questa che per me fu una incredibile esperienza vorrei fare una premessa: non mi piace parlare di me stesso, ma sono costretto a farlo per poter proseguire nella trattazione. Mio nonno materno mi ha insegnato a non cominciare mai i discorsi con la parola “io”, quindi ho deciso di scrivere in terza persona e proverò quindi ad osservare me stesso come se fossi un narratore estraneo agli eventi. Ho voluto riportare gli eventi inserendo quanti più nomi di partecipanti possibile, completi di
soprannomi e nomi di battaglia usati dagli equipaggi. Il mio nome sarà uno dei tanti, spero così di riuscire a diventare uno dei magnifici partecipanti a questa avventura, perdendo il ruolo di narratore. Come se a scrivere fosse un’altra persona.
Antonio Urbano*
Roma, 26 novembre 2024
*allora tenente colonnello, ha partecipato alla fase di pianificazione della missione Locusta e per tutta la durata dell’impegno del Reparto Volo Autonomo schierato ad Al Dhafra ha svolto l’incarico di comandante del gruppo volo e capo ufficio operazioni, ha concluso la sua carriera in Aeronautica Militare con il grado di generale di divisione aerea ed è tuttora impegnato nel settore aereo antincendio dove svolge da quasi vent’anni il ruolo di comandante
istruttore sui velivoli Canadair.
Come si cambia – Memorie Vomeresi (Antonio Ricciardi 67-71)
Antonio Stango Editore (2025). Il fanciullino che è in noi ci guida nelle tappe della crescita e in tutte le esperienze di vita. Ora, conduce per mano l’Autore in un viaggio della memoria, sin dai primi ricordi d’infanzia, nel percorso formativo da Allievo della Nunziatella e poi per il lungo impegno da Carabiniere, anche oltre gli obblighi del servizio. “Come si cambia” è la scoperta di quel filo d’Arianna che si dipana nel tempo senza alterare la genuina unicità dell’essere. Arricchisce l’opera la prefazione dell’Ordinario Militare, Arcivesc. Santo Marcianò, che coglie la spiritualità delle esperienze condivise, e quella del Comandante della “Nunziatella, Col. Alberto Valent, che riconduce le vicende narrate ai valori appresi, ieri come oggi, tra le mura del Rosso Maniero.
Ieri, oggi, domani. La Nunziatella com’era nei sogni di un bimbo che contava l’età sulle dita di una sola mano, come vissuta con ardore e passione dal soldatino quattordicenne con indosso la divisa storica, come esperienza illuminante nei quasi cinque decenni di servizio da Carabiniere, come nella memoria di chi oggi rivede con pacatezza i propri trascorsi. Tutti prima o poi ci troviamo a dover fare i conti con il proprio passato, nel bene e nel male, e la terza (ma anche quarta o quinta o… chissà) età ci porta con la mente a quell’epoca felice in cui il mondo era il nostro campo di gioco e la sfida con il futuro ancora tutta da definire, dove la “Nunziatella” ha rappresentato per noi Exallievi una tappa fondamentale nel cammino verso la piena maturità. Nel mettere ordine nei pensieri, e nelle emozioni di un tempo andato eppure ancora così presente, viene spontaneo voler scrivere il romanzo della propria vita partendo proprio dai banchi e dalle storie del Rosso Maniero, dove “anche le mura parlano” come diceva, senza che ancora ne potessimo comprendere il reale significato, il mitico Capo Scelto della 1^ Compagnia nei nostri primissimi giorni da Cappelloni. Ho iniziato a scrivere “per me” (perché tantissimo ho scritto nella mia esperienza militare, ma senza alcun riferimento personale) una volta in congedo, così, occasionalmente, con l’amico Exallievo ed editore che mi ha fornito le chiavi per realizzare un’opera che avesse un senso compiuto per chiunque avesse voluto sfogliarla, e dopo le prime esperienze nella “saggistica”, specificamente in tema ambientalistico in virtù del mio ultimo incarico come Comandante dei Carabinieri Forestali, sono scivolato nella “narrativa” con i miei primi ricordi d’infanzia, che mi hanno condotto per mano e con naturalezza ai quattro anni vissuti nella Scuola Militare. E’ stato un poco come voler raccontare le favole ai nipotini che però, da smaliziati figli del terzo millennio, hanno meno orecchie per le parole del nonno rispetto alle tante abilità innate per l’accesso sin dai primi passi nell’affascinante mondo del virtuale. E allora? Meglio scriverle per lasciar loro l’eredità di sentimenti ed emozioni uniche che un giorno, riscoprendoli, sapranno comprendere e valutare al pari delle loro esperienze.
Antonio Ricciardi nasce a Napoli nel 1953, dove cresce insieme al nuovo quartiere del Vomero. Quattordicenne entra alla Scuola Militare “Nunziatella”, per dedicarsi poi alla vita del Carabiniere, sino all’incarico di vertice di Vice Comandante Generale dell’Arma. In particolare, ha comandato il Reggimento a cavallo e, nel 2017, è stato il primo Comandante delle Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri, eredi delle risorse umane e delle competenze trasferite dal Corpo Forestale dello Stato.
Saggi
I doveri tra fedeltà, disciplina, onore e responsabilità
Conversazione tenuta da un magistrato ai giovani Allievi della Scuola militare “Nunziatella” di Napoli il 2 marzo 2011, in occasione delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Conservata e messo a disposizione dal Presidente Onorario Giuseppe Catenacci 53-56.
Da molti anni mi piace ricordare – particolarmente nelle mie conversazioni con i giovani – il dialogo intomo alla Repubblica tra il professor Bobbio e il professor Vairoli – pubblicato qualche anno fa nelle edizioni Laterza- nel passaggio in cui il Maestro ormai avanti nell’età, ad un’esplicita richiesta del più giovane professore dell’Università di Princeton, dice: “se avessi ancora qualche anno di vita, che non avrò, sarei tentato di scrivere l’età dei doveri”. Lui il Professor Bobbio che aveva scritto un importante libro sull’età dei diritti commentava che non esistono diritti senza corrispondenti doveri e che per rendere correttamente applicabile la Dichiarazione dei diritti dell’uomo ci deve essere una corrispondente dichiarazione dei doveri e delle responsabilità di chi deve far valere questi diritti.
In quel dialogo Bobbio ribadiva ancora che il primo dovere del cittadino è il dovere di rispettare gli altri, ma quel che più mi preme rilevare è che, nella circostanza, il Professor Bobbio ribadiva altresì che il primo dovere di chi detiene il potere e l’autorità e il senso dello Stato cio è il dovere di perseguire il bene comune e non il bene individuale o particolare, quel bene comune che proprio il Professor Viroli evidenziava essere il principio fondamentale del pensiero politico scritto a grandi lettere nel dipinto del Lorenzetti nella Sala dei Nove a Siena.
Sono stati scritti invero molti libri sui doveri. Basti pensare al De Officiis di Cicerone molto conosciuto fra gli antichi più di quanto non lo sia stato fra noi contemporanei e il libro sui doveri dell’uomo scritto da Mazzini. Certo, i doveri implicano una sorta di obbligazione, di costrizione, se si vuole, a fare qualcosa nei confronti di altri ma anche di noi stessi invero e, in questo senso potrebbero, almeno ad un primo approccio, rappresentare una forma contrapposta alla forma di libertà, in genere comunemente associata all’esercizio dei diritti soprattutto di quelli civili. Ed è pure vero che occorre distinguere i doveri morali (interni e di coscienza) dei doveri giuridici (esterni e verso gli altri) e da quelli religiosi verso il Dio di ciascuno. Doveri la cui trasgressione può perfino attingere il livello penale anche se non necessariamente, ma la trasgressione di uno o più doveri incide sulla qualità, sullo spessore, sullo stesso contenuto dell’etica minandola alla base o comunque compromettendone la sua stessa essenza. Certo, I’abitudine o la ripetizione alla trasgressione dei doveri aumenta il rischio di attingere il livello penale quando i comportamenti sono spregiudicati al punto tale che si ignorano completamente il limite e la misura del rispetto dei doveri o quando l’accecamento che a volte può derivare dall’uso o meglio dall’abuso del potere, prevale sulla correttezza e sulla coerenza comportamentale, coerenza rispetto alla consapevolezza dei doveri e rispetto ai valori che si sono scelti come identitari anche per il raggiungimento della missione che si ritiene essere propria in quel periodo breve o lungo della propria vita.
L’etica ha le sue fondamenta proprio nei doveri e nelle virtù che ne conseguono, potendosi definire come il complesso dei principi di comportamento pubblico e privato che una persona o un gruppo di persone scelgono e seguono. Riguarda quindi la vita di ognuno di noi, la vita sociale e l’intera convivenza civile. Riguarda tutti i settori dell’agire umano laddove ogni settore ha un suo codice etico, la cui ragione non puo essere utilizzata o sbandierata per abdicare ai propri doveri o per sottometterli o interpretarli riduttivamente giustificando il proprio agire con un relativismo soggettivo dove ciascuno stabilisce da se quando ha fatto bene.
Vi è tra i settori dell’agire umano quello che si ricollega,in particolare, all’agire pubblico, quell’agire connesso ad una particolare posizione giuridica che è quella di servire il bene comune, le istituzioni repubblicane, una posizione che pretende una fedeltà a valori e principi che nella nostra democrazia trovano il loro primario riferimento nella nostra Costituzione. E’ proprio, del resto, la Costituzione Repubblicana che impone a tutti i cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi, ma impone come dovere di fedeltà speciale, ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Fedeltà alla Repubblica, quindi. Fedeltà cosa significa? Essa implica una costanza nel credere in determinati principi, regole e valori che si ritengono essenziali per dare un senso a quello che si fa. Fedeltà e quindi coerenza, ma pure fiducia ed adesione, formale e sostanziale, a quei principi, a quelle regole, a quei valori; fedeltà che, se rinnegata, rivela un venir meno ad un impegno assunto, una mancanza di lealtà anche verso se stessi, una mancanza in cui si consuma appunto l’infedeltà. Dovere di fedeltà alla Repubblica indica quindi la necessità di cogliere gli elementi fondamentali di questa ultima, assumere la Costituzione come riferimento unico, irrinunciabile e non superabile poiche e in essa che si ritrovano quei valori repubblicani della nostra democrazia che esigono professione di fedeltà. Altrimenti, è inevitabile sprofondare in quella fragilità nazionale che a volte riappare destando inquietudine nel nostro Paese. Essere fedeli alla Repubblica vuol dire allora appropriarsi o riappropriarsi dei valori e degli ideali repubblicani contenuti nella Costituzione i quali danno il senso vero di una moderna cittadinanza attiva. In questo modo si da sostanza a quello che i nostri ultimi Presidenti della Repubblica, unitamente con molti altri studiosi di scienza della politica, hanno definito con un’espressione al tempo stesso significativa ed elevata il patriottismo costituzionale su cui ognuno puo fondare la sua responsabilità, la sua dignità civile e sociale, riconoscendo nei valori costituzionali repubblicani un legame unitario che affratella una cittadinanza democratica vissuta all’insegna della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, una cittadinanza cosi illuminata dei principi costituzionali e che diventa piena proprio perché animata dall’impegno della fedeltà a tali principi e valori.
A qualche giorno dalle celebrazioni dell’unità nazionale che compie simbolicamente il 17 marzo i suoi centocinquanta anni, ricordarlo in questo luogo cosi carico di valori storici, culturali e umani, mi sembra importante.
Il dovere di fedeltà assume allora un significato costitutivo a garanzia della vigente Costituzione, delle Istituzioni democratiche e dell’interno assetto ordinamentale vigente, diventando cosi il “nocciolo” di una specie di religione costituzionale ispirato da una fede laica rispettosa ed aderente ai valori e ai principi costituzionali, una religione da cui dovrebbero naturalmente discendere comportamenti coerenti con tali valori e principi per significare un modo e uno stile di essere cittadini di una modema Repubblica democratica.
Come ho detto innanzi, la Costituzione non si accontenta di tale dovere generate di fedeltà; essa infatti pretende dai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche che queste ultime vengano adempiute con disciplina ed onore, pretende cioe un dovere di fedeltà speciale.
Questa pretesa costituzionale rende nobile l’esercizio delle funzioni pubbliche, quelle alle quali prevalentemente si preparano i giovani che, come voi, frequentano questa gloriosa e piu che centenaria scuola militare. L’espressione connessa alle funzioni pubbliche esalta il valore di un impegno personale finalizzato all ‘interesse generale che e poi la sintesi del senso profondo dello Stato e che esprime il dovere che hanno i pubblici poteri di servire tale interesse curando ii bene comune, quello di tutti i cittadini dai quali si potra ricevere fiducia e rispetto se le modalità osservate da chi esercita funzioni pubbliche saranno improntate alla disciplina e all’onore.
Per alcuni il senso dell’onore, quello personale e professionale, quello familiare, quello civile, quello religioso, quello nazionale, è il grande assente nell’etica sociale del nostro tempo più dello stesso senso dell’onestà di cui si avverte spesso la carenza. Entrambe le virtù sono indispensabili per i cittadini in genere e per i cittadini in particolare che, proprio perche svolgono funzioni pubbliche, costituiscono una elite a cui nei vari ambiti è affidato il raggiungimento del bene pubblico, in ambito civile e militare. L’onore possiede in sé forza e dignità; la forza di non cadere in facili compromessi e di assumere le decisioni con responsabile consapevolezza dei propri doveri e delle proprie prerogative; la dignità che ha il significato del rispetto degli altri e di se stessi, un rispetto da riconoscere agli altri e da richiedere per se stessi.
Rinunciare all’onore vuol dire non percepire il senso del disonore o non avvertire il senso della zona grigia dove non c’è ne farna ne infamia, ma esclusivamente l’appiattimento di ogni sentimento e virtù. Certo, I’onore costa in termini di fedeltà agli ideali, di dedizione al sacrificio, di lealtà cioè di sincerità nel promettere e nell’osservare gli impegni assunti. L’onore non è innato. Occorre essere educati all’onore. Il suo è un valore pedagogico da diffondere. E’ un valore antico, ma non è il retaggio di un’età superata, né virtù di casta. E’ virtù che richiede maestri ed allievi, ma che esige soprattutto testimonianze di vita concreta che si ispirano ad esse e antepongono il vantaggio generale e quello particolare. L’onore non ha il limite del presente, anzi aspira a lasciare un segno nel futuro perche chi esercita la virtù dell’onore sarà ricordato in futuro ed ispirerà alle successive generazioni comportamenti eticamente apprezzabili. L’onore evoca il diritto di difesa del proprio buon nome, ma sollecita soprattutto il dovere di essere dei buoni cittadini rispettosi delle regole del vivere in comunità, desiderosi di contribuire al bene pubblico. L’onore e un dovere costituzionalizzato, per quanto ho poco fa affermato, nella forma e nella sostanza anche perché la Costituzione non si limita a richiedere il semplice esercizio delle funzioni pubbliche, ma ne pretende l’adempimento cio è il pieno soddisfacimento e la piena osservanza di compiti, di attività e di servizi che costituiscono l’essenza delle funzioni votate al pubblico interesse generale.
Ho più volte, in questo mio dire, fatto riferimento all’interesse generale e al bene comune. Proprio in ragione di questa insistenza, è bene sottolineare che il primo criterio di legittimazione del potere pubblico risiede proprio nel perseguimento del bene comune. Non vi è dubbio peraltro che il problema sia poi quello di stabilire a chi spetta definire il bene comune per evitare arbitri incidenti sulla vita di ciascuno ed e altresì evidente che il significato di bene comune possa variare da uno Stato pacifico ad uno Stato guerriero e da uno Stato autoritario a uno Stato democratico e così via. Si può convenire comunque sul fatto che il bene comune offre la misura dell’autorità dello Stato, autorità che è tanto piu salda quanto piu saldo e fondato e il consenso circa la bontà dei fini prescelti che vanno in democrazia sempre raggiunti nel rispetto della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà. Si può dire quindi che bene comune è l’oggetto della cura dell’interesse generale che è diverso dall’interesse particolare, che è interesse pubblico e non interesse privato, che è interesse di tutti e non di un singolo o di un gruppo di potere. E’ bene perché produce un benessere, un’utilità, un vantaggio, perché soddisfa un bisogno. E’ comune perche si riferisce ad una comunità di persone che sono titolari di diritti e di doveri. II bene comune è quindi il presupposto di quella coesione sociale, istituzionale, territoriale e ordinamentale la cui sintesi è efficacemente rappresentata dalla coesione nazionale, quella evocata tante volte dal Presidente Ciampi e dal Presidente Napolitano.
Cosa dire adesso sulla disciplina, l’altra virtù che insieme con I’onore impreziosisce il dovere di adempimento delle funzioni pubbliche? In verità, nel sentire della gente, il genus disciplina è stato sempre accostato, in modo più marcato alla species militare, anche se disciplina dovrebbe riguardare altresì la species familiare (per tanto tempo lo e stato) ma pure (ed e argomento su cui oggi si discute molto) la species delle pubbliche amministrazioni laddove, quando rispettata, consente in vista di un risultato superiore e in coerenza con norme soprattutto di natura etica, di anteporre il bene pubblico all’egoismo individuale. Vorrei cogliere, in questa circostanza, il profilo civile e istituzionale della disciplina che è rispetto di regole fondamentalmente, un rispetto che – come diceva Massimo d’Azeglio ispiratore dell’antico Regolamento di disciplina militare – va fondato né sul timore di pena, né sulla speranza di ricompensa, ma esclusivamente sull’intimo convincimento della funzione essenziale delle regole. La disciplina si manifesta quindi come un complesso di regole e principi di comportamento scritti e non scritti, da rispettare con convinzione. Essa è segno di educazione al rispetto degli altri e di se stessi, è segno di misura nell’agire quotidiano; essa esige scrupolo e impegno nell’obbedienza, esige la consapevolezza di un valore alto, quello del bene comune e dell’interesse generale a cui sacrificare i propri impulsi e le proprie ambizioni, un valore che dovrebbe essere il simbolo di una nuova civiltà democratica dove, come dicevo prima, prevalgono la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà. Praticare la virtù della disciplina richiede un’abitudine al dominio di se stessi, un dominio raggiunto a volte pure con sacrificio, ma allo scopo di conseguire finalità più elevate di quelle orientate all’interesse individuale e personale. Non è rinuncia alle proprie idee e ai propri convincimenti. E’ sempre consapevole adesione ad un disegno superiore. E’ stato detto, e mi sembra sia da condividere, che una vita improntata all’onore e alla disciplina rappresenti il migliore indizio di integrità e di coerenza di costumi di cui tanto si sente il bisogno per una convivenza che si voglia definire concretamente civile. La disciplina è infine una virtù da praticare per essere fedeli interpreti del dettato costituzionale.
Un profilo strettamente legato ai doveri è quello poi della responsabilità, solo fortunatamente negli ultimi anni adeguatamente sottolineata e comunque scarsamente praticata in molti ambienti. Bene, è proprio quest’ulteriore elemento della responsabilità che mi consente di illuminare ulteriormente l’ambito dei doveri. Ritengo infatti che anche per coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche, la Costituzione, nel richiamare il dovere di adempiere tali funzioni con disciplina ed onore, esiga l’esercizio della responsabilità. V’è bisogno di una nuova responsabilità o, se preferite, vi è bisogno di una responsabilità che rivaluti finalmente l’adempimento delle funzioni pubbliche. Questo vale per tutti coloro che hanno responsabilità nel pubblico, dalle elite amministrative a quelle militari, dalle elite accademiche a quelle giudiziarie e cosi via. Una responsabilità che si esprime nella consapevolezza di dovere essere testimoni di una etica pubblica al servizio della gente, di un’ etica dell’onore e della disciplina, di un’etica del servizio al bene comune e all’interesse generale, quest’ultimo come identificativo al massimo di una missione la quale deve, per definizione, sentirsi votata a risolvere i problemi dei cittadini, ascoltando i bisogni, mediando tra i vari interessi e decidendo, infine, nell’interesse generale. Quando si assume un impegno che è fatto di rispetto di regole e di esercizio di ben definite competenze che si svolgono nel pubblico, occorre essere responsabili dei propri comportamenti e della loro coerenza. La responsabilità rinvia evidentemente anche all’inosservanza dei doveri e dei precetti e quindi all’apparato sanzionatorio che da essa discende nel momento in cui si individua di chi e la responsabilità.
La responsabilità nobilita chi la pratica per onorare il rapporto che si è venuto ad instaurare anche sotto il profilo giuridico, profilo da cui deriva poi l’obbligazione doverosa. La responsabilità diventa, del resto, fonte di accusa se essa serve per sanzionare chi ha violato il contenuto del rapporto disonorando il suo status e sottolineando la sua incoerenza.
Doveri di fedeltà, onore, disciplina, responsabilità disegnano un quadro di comportamenti, di stili di servizio, di vincoli istituzionali e costituzionali, di modi di essere, capaci di suscitare, se positivamente rispettati, fiducia e coesione sociale; al contrario, se violati, in grado di provocare fratture tra istituzioni pubbliche e cittadini, screditando le elite del Paese.
Quanto è stato in sintesi illustrato sul tessuto istituzionale di un’etica essenzialmente al servizio delle Istituzioni democratiche e dei cittadini di questo Paese, deve essere completato con qualche breve considerazione sull’etica della legalità, uno degli argomenti piu delicati nell’odiema realta sociale. E’ un tema che investe tutti gli ambienti e tutte le professioni, il pubblico come il privato, la politica come l’amministrazione e la cultura, le imprese come le associazioni. E’ un tema strettamente collegato a tutto quanto si e detto perche ancora una volta si tratta di riflettere su azioni e comportamenti di tutti i cittadini e specificamente, per quel che interessa in questa circostanza, dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche i quali sono tenuti, piu degli altri, ad essere corretti evitando di compromettere non solo la loro credibilità, ma quella delle istituzioni pubbliche alle quali appartengono e presso le quali devono adempiere le pubbliche funzioni con disciplina, onore, responsabilità e fedeltà alla Repubblica osservandone la Costituzione e le leggi.
Osservare le leggi è il cuore della cultura della legalità; riguarda tutti i cittadini, ma pure e soprattutto i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche e che, proprio in virtù di questa fiducia in loro riposta con l’affidamento, hanno il dovere di corrispondere a tale fiducia dimostrando che e stata in loro ben riposta e che loro sono meritevoli e credibili come le Istituzioni che rappresentano. II verbo osservare ha la stessa forza intrinseca del verbo adempiere; come questo ultimo è più che un normale svolgere od eseguire, ma sta a significare una esecuzione piena, uno svolgimento completo ed esauriente; così osservare è un rispettare pienamente con un’obbedienza, appunto, rispettosa e convinta. Osservare le leggi vuol dire, quindi, alla stessa stregua dell’osservare la Costituzione, rispettare le leggi con il senso dell’obbedire, con rispetto, ai precetti in esse contenuti, convinti che solo cosi si adempiono poi con disciplina, onore e responsabilità le pubbliche funzioni. L’osservanza della Costituzione e delle leggi diventa cosi un parametro di riferimento essenziale per l’adempimento delle funzioni pubbliche ed e sintomatica di quella disciplina e di quell’onore richiesti. La legalità investe la sostanza di una democrazia modema e dello Stato di diritto strettamente legato al rispetto della legge, che non può prescindere dall’osservanza delle regole penali, civili, amministrative e contabili. Né invero, come da alcuni è stato auspicato, può accettarsi un significato nuovo di legalità che prescinda dal rispetto del dettato normativo poiché sarebbe di difficile determinazione accertare chi sia deputato a stabilire la presenza di una legalità sostanziale da preferire ad una legalità formale.
La Iegalità è conformità alla legge; non può essere attenuata neanche dalla possibile ingiustizia della legge che in democrazia va combattuta attraverso le procedure politico-parlamentari, per abrogarla e modificarla, ma non attraverso l’illegalità che si consuma comunque quando si violano le regole. Il rispetto della legge, il dovere di rispettarla e farla rispettare e strumento per raggiungere la giustizia. La legalità non puo essere selettiva, valere per alcuni e non valere per altri. Se fosse selettiva, inevitabilmente finirebbe per esserlo la giustizia stessa che, come la legge, deve essere uguale per tutti. Non si può transigere sul se rispettare le regole o sul se farle rispettare. Quello su cui semmai si puo discutere e, in alcune specifiche circostanze, il come e il quando rispettare le regole o il come e il quando far rispettare le regole. Mai si puo discutere il se rispettarle o farle rispettare. II come e il quando rispettare e far rispettare la legge – per intenderci e chiarire il mio pensiero – tiene conto della complessità delle vicende che si vivono in un determinato momento storico laddove vengono richieste sensibilità, intelligenza, prudenza e saggezza nel governare una determinata vicenda. Il se rispettare la legge comporta la coscienza che la violazione della legge è sempre illegale e qualunque ipotesi di dosaggio tra un livello di repressione e un livello di tolleranza non può mai riguardare il se rispettare la legge. Ecco perché i cittadini pretendono la legalità. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche debbono in più farsi carico della difficile lettura della complessità senza però mai rinunciare al valore della legalità che è valore costituzionale da rispettare prima di tutto e soprattutto, se si vuole anche tutelare la sicurezza generale nel Paese.
Noi viviamo comunque oggi l’esperienza di uno Stato di diritto, connotato dal pluralismo democratico che ha come bussola i valori e i principi consacrati nella Costituzione Repubblicana. Sarebbe, pertanto, fuori luogo e contrario allo spirito della Costituzione dai cui dettati si evince quell’etica pubblica, quell’etica civile (in quanto richiesta ai cives), quella religione civile se si preferisce, immaginare di prescindere da essa per costruirci una nostra religione utilitaristica fatta per soddisfare la nostra ambizione e il nostro utile. Ecco perché – e concludo – l’azione di chi vive e opera nelle Istituzioni e per le Istituzioni, deve esser illuminata dai principi della etica pubblica rinvenibili nella Costituzione perche è in quest’ultima e nei suoi valori che deve trovare fondamento e sostanza l’azione di ciascuno, deve trovare i suoi riferimenti, i suoi limiti, la sua ragione di essere che sta poi in quella libertà, in quell’uguaglianza e in quella solidarietà che costituiscono la trama essenziale del disegno valoriale sotteso alla nostra Carta fondamentale che rende preziosa, anche se difficile da vivere, l’ esperienza di una democrazia modema calata in una realtà globalizzata, così sensibile ad ogni avvenimento anche accaduto in un altro continente e quindi cosi complessa e proprio per questo abbisognevole di agganci etici pubblici ai quali ancorarsi per evitare di essere in navigazione da una parte all’altra, perdendo o rischiando di perdere l’orientamento e la visione del futuro e della società in cui si vive.
Spero di aver procurato, soprattutto a voi giovani che rappresentate la vera speranza per la nostra democrazia e per le istituzioni libere e democratiche, sufficienti suggestioni per riflettere prima ed operare poi.
100 anni fa: foto anno scolastico 1024-25, dal Presidente Onorario Giuseppe Catenacci 53-56.
Anno scolastico 1924-25: gli allievi impegnati al campo estivo di Cava dei Tirreni, in attivita’ sportive ed in visite istruttive.
Anno scolastico 1924-25: i professori (da sx a dx) Francesco Caruso, Raffaele d’Amelio, Nino Cortese, Floriano del Secolo, Empedocle Goggio, Eugenio Vitelli.
Immaginare di essere un principe (Nicco Serao)
I Large Language Model nel tardo Rinascimento
Del resto, Pigna era un intellettuale rispettato, e in certi ambienti non conveniva farselo nemico. Per essere un uomo di lettere, aveva raggiunto un notevole potere: da giovanissimo era diventato segretario del duca Alfonso II d’Este, e in quella posizione aveva potuto esercitare un’influenza profonda non solo sulla vita culturale, ma anche sulle dinamiche politiche del Ducato. Le sue prese di posizione, persino i suoi silenzi, ma soprattutto i suoi consigli lasciarono un’impronta – più o meno visibile – su un ampio tratto del Rinascimento italiano.
I consigli, si diceva. Giovan Battista Pigna era nato nel 1530 da una famiglia borghese, il cognome in realtà era Niccolucci. Il nome Pigna l’aveva fatto suo prendendolo dall’insegna della spezieria del padre. Cresciuto a Ferrara, aveva avuto il privilegio di studiare con i migliori maestri della città, che all’epoca erano il filosofo Vincenzo Maggi e il letterato Giovan Battista Giraldi Cinzio, e questa opportunità era riuscito a metterla bene a frutto: aveva appena 20 anni quando incominciò a insegnare retorica e lingua greca allo Studio, ovvero all’università di Ferrara.
Il mecenatismo estense incoraggiava una produzione culturale che, nel caso di Pigna, fu particolarmente varia. Nel 1554 pubblicò il trattato I romanzi, che spiegava il funzionamento del poema cavalleresco alla luce del modello ariostesco, e che si contrapponeva programmaticamente alle idee di uno dei maestri di Pigna, Giraldi Cinzio. Nello stesso anno Pigna pubblicò anche il trattato Il duello, che affrontava una delle questioni più urgenti della vita sociale contemporanea, legata al tema dell’onore aristocratico e della sua difesa. L’astro ferrarese aveva insomma poco più di 20 anni e già si affermava come uno degli intellettuali di spicco della corte: fu del tutto naturale che a lui venisse affidato l’incarico di provvedere all’educazione del giovane Alfonso II d’Este, primogenito di Ercole II d’Este e di Renata di Francia. Alfonso II regnò a Ferrara dal 1559 al 1597, e fu l’ultimo duca estense a governare la città prima del suo passaggio allo Stato Pontificio. Era un sovrano colto, ambizioso, desideroso di trasformare Ferrara in una capitale del Rinascimento italiano, sul modello delle corti medicea e papale. Gli piacevano le arti, la musica, la letteratura e la filosofia. Quando Alfonso salì al potere alla morte del padre, Ercole II, Pigna fu nominato segretario ducale, incarico che era stato di Giraldi stesso per lungo tempo.
Il ruolo di Pigna, da precettore a segretario, divenne più complesso e delicato, e proseguiva nel solco del “Rinascimento segreto” – come il titolo di un saggio che Marcello Simonetta ha dedicato al ruolo del segretario, da Petrarca a Machiavelli –, spostandosi dall’ambito culturale a quello più ampiamente politico. Essere segretario ducale significava avere intimità col potere e, forse proprio per questo, godere di una certa libertà intellettuale. Pigna la sfruttò a pieno: pubblicò nello stesso anno 1561 un commento in latino all’Ars poetica di Quinto Orazio Flacco, un trattato teorico sulla poesia epica (Gli Heroici) e un trattato politico (Il Principe) che si ricollega evidentemente anche alla lezione di Niccolò Machiavelli.
Intanto, in parallelo, il segretario consolidava il suo ruolo di uomo forte di Alfonso II. Le giornate erano piene. C’erano da preparare i documenti ufficiali del Ducato, i discorsi, da indirizzare la corrispondenza diplomatica, da consigliare su ogni tema che al duca stesse a cuore, e sul quale volesse confrontarsi con la persona che l’aveva educato. E poi, soprattutto, due cose. C’erano da selezionare le informazioni per Alfonso, e c’era da decidere, entro certi limiti, cosa potesse avere accesso alla persona del duca e cosa no. C’era, insomma, da dare forma al carattere e al pensiero del ‘principe’.
E come deve essere costui? Innanzitutto, dice Pigna nel suo trattato politico, “il nostro Principe, che è veramente prudentissimo, è attissimo veramente a fare che chi conversi con lui migliori di continuo il giudicio, et più s’acuisca nel discorrere, et impari molte belle massime con le quali paia molto prudente”. La formazione culturale del principe deve insomma farlo sembrare innanzitutto assennato ed equilibrato: cosa non meno importante del possedere davvero queste due qualità. Per Pigna, essere vale tanto quanto sembrare.
Chi ha la responsabilità di far sì che ciò accada? Ovvero: chi è il custode della buona immagine del principe e del successo delle sue cose? Pigna scriveva il suo trattato nel 1561, da tre anni era il segretario di Alfonso: la risposta è nel suo stesso curriculum.
Questo custode, questo consigliere deve essere in grado di padroneggiare un sapere e un’intelligenza delle cose particolarmente ampi, e poi distillare tutto a favore di una persona che, semplicemente, non ha il tempo di occuparsi di tutte le cose richieste dal suo ufficio: “Il Consigliere oltre all’haver una buona dispositione et un buon habito da esser ingegnoso et giudicioso, havrà il fondamento della cognitione delle cose di stato, che è l’haver provato assai. Et in ciò potrà esser valente ogni volta che sia pratico nelle attioni della pace et della guerra, per haver corso del mondo, et osservato i costumi de’ popoli, et gli ordini delle città, et per esser intravenuto in gran maneggi, et che sia buon Historico delle cose antiche, et nelle moderne, non con l’haver letto i libri nella superficie o con l’haversi fatto narrare il contenuto di essi senza altra dichiaratione, ma con l’haver accompagnato la teoria alla pratica”.
Il consigliere, in altre parole, deve essere molte cose assieme: un intellettuale fatto e finito, una persona di esperienza e con conoscenze che si ancorino nella storia, un uomo di vita vissuta.
Ora, per un breve attimo, immaginiamo di essere un principe. Cinquecento anni dopo di lui, immaginiamo di essere Alfonso, che “ha così gran machina in su le spalle, che dee haver più braccia che vi mettano la mano”. La macchina che abbiamo sulle spalle, più o meno tutti, è quella di un’informazione sovrabbondante e disordinata che rende più difficile prendere le decisioni che contano, in ogni ambito. Circa cinque anni fa è stato coniato un neologismo, infodemia, che il vocabolario Treccani spiega così: “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. Solo a considerare la bolla dell’ufficio, si va dall’eccesso di email da gestire quotidianamente ai canali di comunicazione paralleli (quando la soglia di attenzione su Outlook si è assottigliata, in ufficio sono entrati Trello, Slack, Teams, WhatsApp…).
Dunque, dicevamo: per un breve attimo, immaginiamo di essere un principe. Immaginiamo di avere qualcuno che selezioni per noi le informazioni, ce le sottoponga ordinate e funzionali. È una cosa che succede da qualche anno con i social media, anche se i giornalisti lamentano spesso l’incompletezza, la faziosità intrinseca e la disfunzionalità dell’informazione che questi strumenti veicolano. Leggere i titoli di una notizia su un social non è (nel bene e nel male) come leggere un articolo di giornale. Non informa alla stessa maniera. Eppure, che ci piaccia o no, l’informazione “per titoli” e “da social” è più diffusa di quella che un tempo avremmo chiamato tradizionale. I social media propongono sintesi sufficientemente accattivanti delle informazioni di cui crediamo di avere bisogno.
Negli ultimi due anni e mezzo, da questo punto di vista, i Large Language Model (come ChatGPT o NotebookLM) sono diventati una specie di ultra-media. Capaci di scrivere un testo in pochi secondi, di darci informazioni sui temi che ci appassionano. Di offrire perfino conforti psicologici, quando la sicurezza vacilla. E poi di darci un’idea concisa sulle cose che ci interessano, e sulle quali abbiamo bisogno di formarci un’opinione nel giro di pochi minuti. Ci hanno permesso di entrare in una età della pigrizia.
Bene, dicevamo: immaginiamo di essere un principe. Immaginiamo di avere bisogno di informazioni puntuali che possano essere usate come riferimento per una riunione, una chiacchierata, per consolidare un’opinione, per creare un documento che rappresenti un nostro pensiero. Se fossimo stati dei principi rinascimentali, avremmo convocato il nostro segretario, esponendogli la necessità e dandogli qualche giorno di tempo per elaborare un pensiero e un testo che si attagliassero alla nostra necessità.
Negli anni dell’infodemia, siamo diventati tutti all’improvviso principi, destinati a gestire una quantità di informazioni debordante, desiderosi di organizzarla affidandoci ai segretari che la tecnologia ci ha messo, di volta in volta, a disposizione. La cattiva notizia è che, prima di fare di questi strumenti i nostri segretari, non abbiamo avuto modo di conoscerli nel profondo, di capire il loro funzionamento e soprattutto i loro interessi. Gli ultimi arrivati sono gli LLM. Potremmo usarli come uno strumento di esplorazione superficiale, che complementi le informazioni di cui siamo in possesso. Le risposte che ci propongono andrebbero poi validate, confutate, migliorate ricorrendo ad altre fonti e picchiettando sulla tastiera per correggere un tiro che, per definizione, si avvicina al bersaglio senza poterlo centrare. Come dire che gli LLM non sono il nostro segretario, non hanno dettagli e profondità. Se il problema è noto, forse non è ancora chiaro. Se Alfonso II avesse avuto modo di sperimentarli, gli LLM, lo avrebbe fatto radicalmente e in maniera estensiva, chiedendo loro di tutto, sperimentandoli fino all’ultima possibile virgola. Ma con ogni probabilità, in ultima analisi, avrebbe capito che non sono in grado di andare alla profondità delle cose come il suo consigliere. Avrebbe continuato a usarli per cose di piccolo cabotaggio, e non per sostituirli alle discussioni con il suo segretario, quello vero, Giovan Battista Niccolucci. Alle discussioni, cioè, che servivano a prendere delle decisioni e ad abbracciarne le responsabilità conseguenti. Pigna, che certamente non peccava di pigrizia, era un intellettuale rispettato, con ambizioni chiare e, per quanto notevoli, ben definite. Del confronto con questi – seppur più lento, imperfetto, fatto di maggiori dubbi e non solo di risposte, di domande e di perplessità irrisolte, di incertezza e quindi in ultima analisi di libero arbitrio –, del resto Alfonso non avrebbe mai potuto fare a meno per affinare le sue riflessioni e per condurre in maniera personale, autentica e incisiva la politica del ducato.
Difendere la nostra humanitas (Ivan Solla 98-99)
I. Introduzione – La fiamma che ci abita
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto.”
Così scriveva Terenzio nel II secolo a.C.: “Sono uomo, e nulla di ciò che è umano mi è estraneo.”
In queste poche parole si racchiude il cuore della nostra riflessione: la humanitas come consapevolezza dell’appartenenza reciproca, come dignità condivisa, come capacità di riconoscere nell’altro non una minaccia, ma uno specchio.
Difendere la nostra humanitas significa difendere quella fiamma interiore che ci distingue, non per superiorità, ma per responsabilità: la capacità di sentire l’altro, di scegliere il bene anche nella complessità, di custodire la memoria, la bellezza e la fragilità del vivere insieme.
II. Che cos’è la humanitas
Il termine latino humanitas univa due dimensioni fondamentali:
- l’umanità come natura – ciò che ci accomuna biologicamente;
- l’umanità come cultura – ciò che ci rende persone: la capacità di pensiero critico, di compassione, di solidarietà, di giustizia.
Per Cicerone, la humanitas era la sintesi tra educazione e moralità, tra retorica e sapienza. Per Seneca, significava “vivere per l’altro”, perché “non viviamo per noi soli” (non soli nobis nati sumus).
Nel Rinascimento, Pico della Mirandola dirà che l’uomo non ha una forma prestabilita, ma ha in sé la libertà di elevarsi o degradarsi. Difendere la nostra umanità, allora, è scegliere la direzione dell’elevazione.
III. Le minacce di oggi: l’indifferenza e la frammentazione
Oggi non siamo più minacciati, principalmente, da dittature visibili o da ideologie totalitarie. La nostra humanitas è minacciata da forme più silenziose, ma non meno pericolose:
- la disumanizzazione sistemica, che riduce l’individuo a funzione, a numero, a produttività;
- la cultura dell’indifferenza, come la definisce Papa Francesco, in cui “il grido dell’altro si perde nel rumore del mondo”;
- l’anestesia dell’empatia, figlia della sovraesposizione al dolore altrui nei media e nei social, che ci rende spettatori passivi invece che partecipi;
- la perdita del linguaggio umano, sostituito da slogan, abbreviazioni, algoritmi che riducono la complessità del pensiero a una formula.
Lo scrittore David Foster Wallace avvertiva: “La vera libertà richiede attenzione, consapevolezza e sforzo.” Difendere la nostra umanità, allora, significa recuperare la profondità in un tempo che ci spinge alla superficialità.
IV. Segni di resistenza: chi custodisce la fiamma
Eppure, in mezzo a questo scenario disgregato, ci sono presenze luminose. Persone, movimenti, azioni che testimoniano che la humanitas è viva, e può essere scelta.
- Penso ai volontari che salvano vite nel Mediterraneo, o nei centri di accoglienza, e ci ricordano che ogni essere umano ha diritto a un nome e a una storia.
- Penso a insegnanti e educatori che resistono al declino dell’istruzione come prodotto, e insegnano a pensare, ad ascoltare, a costruire.
- Penso a chi sceglie il dialogo nei conflitti, anche familiari o sociali, in un’epoca che premia il giudizio rapido e la polarizzazione.
Come disse Albert Camus: “Nel mezzo dell’inverno, ho scoperto che vi era in me un’invincibile estate.”
Quella estate è la nostra humanitas.
V. Conclusione – Un compito quotidiano e collettivo
Difendere la nostra humanitas non è un gesto straordinario, ma una responsabilità quotidiana.
È scegliere di guardare chi ci passa accanto.
È decidere di non voltarsi dall’altra parte.
È coltivare la parola giusta, il silenzio opportuno, il ricordo vivo.
Come scriveva Hannah Arendt, “Essere umani significa essere capaci di narrazione, di memoria, di promessa.”
Ed è proprio la capacità di promettere — cioè di impegnarci gli uni con gli altri — che ci salva dal baratro dell’isolamento e dell’indifferenza.
Non ci è chiesto di essere eroi.
Ci è chiesto di essere presenti.
Con cuore, mente e voce.
E di custodire, anche quando è difficile, la fiamma che ci rende umani.
Perché in fin dei conti, solo ciò che è umano… può salvare l’umano.
E oggi più che mai, difendere la nostra humanitas
è il gesto più rivoluzionario e necessario che possiamo compiere.
Poesie
Difendere la nostra humanitas (Ivan Solla, 98-99)
Quando il tempo si piega al vento d’acciaio,
e gli uomini barattano il cuore per l’ombra,
noi, sentinelle dell’antico fuoco,
difendiamo l’eco della luce profonda.
Non è nell’oro che brilla il destino,
né nel marmo che il nome si eterna,
ma nel gesto che sfida l’oblio
e nel canto che il nulla rinnega.
Ogni parola è un’ala di fuoco,
ogni sguardo un’alba che attende,
ma chi spezza le briglie del buio,
trova in sé la radice del mondo.
Custodiamo i semi dell’esserci ancora,
oltre il clagore dell’aride glorie,
poiché umani non è solo un verbo,
ma il sigillo che sfida la notte.
ASCOLTA! (Ivan Solla, 98-99)
Ascolta!
Tu che respiri in questo tempo d’ombre sottili,
tu che passi tra schermi e silenzi,
non lasciare che il cuore ti cada dalle mani.
Ricorda chi sei:
non un numero inciso nella nebbia,
non un’eco tra mura d’acciaio,
ma voce viva, tempesta che pensa,
fuoco antico che nessun gelo spegne.
Difendi ciò che resta del canto,
difendi la carezza, la parola che salva,
l’occhio che vede l’altro
non come ostacolo, ma come fratello.
È guerra sottile,
senza armi visibili,
senza sangue versato –
ma ogni giorno ci rubano un pezzo d’anima.
Gridalo, se serve,
scrivilo nei muri,
portalo nei gesti:
essere umani è atto rivoluzionario.
Non piegarti al mondo che ride del giusto,
non cedere il passo all’abisso che chiama.
Se restiamo, se resistiamo,
allora l’umano vince ancora.
E in quel fragile, eterno resistere
— sta la nostra immortalità.
Foto
Un anno di lavoro? (Fabrizio Giulio 84-87)





















Alpinismo globale (Simone Giannuzzi 81-84)
La montagna ha contribuito a formare il mio carattere e orientare la mia vita; a vedere gli ostacoli della vita come montagne, sfide da affrontare col sorriso. La mia vita professionale ha ben potuto accomodare la mia passione alpinistica consentendomi, con l’insegnamento e la guida in montagna, di trasmetterla a molti.























I 300 della Locusta nel Golfo (Antonio Urbano 69-72)
- Rifornimento in volo di un velivolo Tornado da un rifornitore USAF KC135
- Bomba da 1000lbs MK83 caricata sui travetti di un velivolo Tornado con scritte augurali spesso apposte dagli armieri
- A rientro di una missione addestrativa
- Ingresso e panoramica del Villaggio Locusta, residenza del personale impiegato, situato nel deserto ai margini dell’aeroporto di Al Dhafra
- Con gli altri equipaggi in partenza per la prima missione di guerra
- Piloti e navigatori in fase di pianificazione nella sala operativa del distaccamento
Borromini vs Sanfelice (Annunziato Seminara 60-64)
Video
Consegna della Spilletta Associazione (Giuseppe Catenacci 53-56, Fulvio Campagnuolo 79-82, Ivan Solla 98-99)
Contenuti del video
Ospiti del Comandante Alberto Valent 95-98 alla Scuola Militare Nunziatella:
– Discorso del Presidente Onorario Peppino Catenacci 53-56 agli Anziani Maturandi
– Benvenuto del Presidente Nazionale Fulvio Campagnuolo 79-82
Ivan Solla descrive il processo creativo nel produrre, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, la canzone che sentirete nel video.
Per la creazione della canzone solitamente io utilizzo questo processo creativo:
1- Parto scrivendo una poesia o qualche frase o dei semplici pensieri;
2- Trasformo poi quello che ho scritto in un testo che possa sembrare orecchiabile (solitamente
questa parte del processo richiede un po’ più di tempo);
3- Una volta scritto il testo lo inserisco in uno dei programmi che creano la melodia (sumo, canva
ecc..), scelgo lo stile musicale che secondo me e più adatto, inserisco la voce che vorrei utilizzare, il ritmo se veloce o lento e chiedo all’AI di sviluppare la canzone;
4- Provo e riprovo modificando le richieste fino a quando non ottengo qualcosa che mi piace;
5- Qualche volta se non riesco ad ottenere ciò che voglio utilizzo altri programmi semplici come moises (una app) che mi permette di modificare la canzone in ogni aspetto come la voce, la velocità, l’audio e persino dividere i vari strumenti.