IL RITORNO DELLA BANDIERA AL COLLEGIO MILITARE NUNZIATELLA

IL RITORNO DELLA BANDIERA

AL COLLEGIO MILITARE NUNZIATELLA

 

IL MATTINO del 24 MAGGIO 1950

L’editoriale in prima pagina di Giovanni Ansaldo

 

 

I giovinetti, che questa mattina scenderanno in armi dalla Collina di Pizzofalcone, per andarsi a schierare sul piazzale Maresciallo Diaz, e ricevervi la nuova bandiera del Collegio Militare,  vedranno certamente  molti fantasmi sul loro cammino.

Essi hanno superato per essere ammessi nell’antico Collegio, prove più difficili di quelle  affrontate dalla maggior parte dei loro coetanei; hanno affrontato volenterosamente una disciplina stretta e serrata, mentre i tempi ai giovani studenti che sono “fuori” consentono indipendenza larghissima: e cioè, per loro stessi, una prima ragione di soddisfazione.

Di più, sanno di rappresentare una tradizione che riprende.

Nella antica sede che li accoglie essi son lungi dall’avere  tutto il comfort delle modernissime Scuole militari, ma in compenso, i muri parlano, ed ogni aula, vorremmo dire ogni pietra, rammenta supreme ed austere obbedienze.

Anzi talune di loro hanno un nome che da solo è una consegna di onore, mantenuta dal padre a costo della vita.

Di più, essi tutti discerneranno negli occhi dei loro cari, accorsi ad assistere alla cerimonia, e dei loro superiori e maestri, e fin dagli ignoti fermi sui marciapiedi a vederli sfilare, un sentimento più vivo del consueto, di tenerezza fiera, di amore orgoglioso.

Una soddisfazione profonda nel vedere, di nuovo, dopo tanto disastro e tanto dolore, in questa Napoli contaminata e pure immacolata, passar di nuovo, ricomposto il battaglione della giovinezza.

Che bella sorte avere,  oggi, sedici o diciott’anni, essersi alzati al suono della tromba alle cinque e mezza, e scendere giù per Monte di Dio ravvolti nel pulviscolo d’oro del sole napoletano!

*

Lo abbiamo detto: quei giovani vedranno sul loro cammino, questa mattina, molti rosei fantasmi fluttuanti nel loro avvenire. E ci perdonino quindi se noi, per salutarli, evochiamo dal nostro passato un fantasma diverso …

*

Erano i giorni più tristi della catastrofe italiana; quelli in cui dal fondo di Italia, di Francia, dei Balcani, carichi di uomini disarmati dalla incapacità dei capi combinata con la frode nemici arrancavano verso i campi di deportazione che costellavano la terra tedesca.

Ordini, gradi, provenienze, tutto era promiscuo; i corpi di armata s’erano fusi in una moltitudine di vinti cui toccava ormai d’essere soltanto spartita, al cenno di qualche caporale tedesco, in vagonate.

Ora, durante una sosta tormentosa in una stazione polacca, accadde a noi di  ascoltare un dialogo tra due compagni di sventura, che si impresse indelebile nella mente.

Li avevamo intraveduti, al momento in cui erano stati fatti salire tra noi per completare la vagonata. Erano due ufficiali superiori, che al serio aspetto e al contegno, si rivelavano soldati veri. Il cupo silenzio in cui erano sprofondati, dopo brevi presentazioni ai più vicini, confermavano la prima impressione: in quel silenzio si rodevano il cuore di virile disperazione. Essi, ad un certo punto, avevano cominciato a discorrere tra loro.

La catastrofe recente faceva rimuginare a quei due cervelli, li riconduceva a troppe inettitudini di cui erano stati testimoni, a troppi errori di cui erano stati partecipi. E, veri soldati, la prigionia bruciava loro come una ferita.

Finché uno dei due aveva ricordato, per caso, la Nunziatella dove era stato e l’altro: “Ma anche io vengo dalla Nunziatella!”

Il nome della Scuola famosa, alta sul mare di Napoli, fu il “Sesamo apriti!”. Nomi di comandanti, di insegnanti, di compagni di corso, tutto affluì rapido,  dietro a quel nome primo, familiarmente caro e rievocazioni di allegre imprese giovanili, di studi animosi, di speranza ridenti.

I due uomini, amareggiati ed avviliti, avevano trovato qualcosa nella propria vita, cui potevano pensare senza che il ricordo fosse aduggiato da ombra alcuna; qualche cosa che era lieta e pura come la giovinezza stessa, vivida vis animi.

Fu in quella notte, in un vagone di deportati fermo in una stazione sconosciuta, che noi capimmo che cos’è una scuola come la Nunziatella e la sua forza morale.

Diciamo forza, perché non v’ha dubbio che quei due uomini, dal ricordo della loro Scuola, erano stati ritemprati perfino nel più triste momento.

*

Altri parlerà, oggi, giustamente ai giovinetti scesi in armi sulle rive del mare a via Caracciolo, delle glorie della Grande Guerra che ricordiamo oggi dopo 35 anni.

Noi offriamo, invece, loro questo piccolissimo episodio della sconfitta recente.

Non diversamente, gli antichi intrecciatori di corone insinuavano, tra le rose, qualche fiore di croco.

Dica esso, a loro, la malinconia della generazione dei loro padri, che commise molti errori, ma non si macchiò della colpa di amar tepidamente la patria.

E’ una malinconia  silenziosa e nascosta, ombrosa e gelosa, che soltanto può trovare conforto nella disciplina, nella serietà, nel vigore delle generazioni che salgono e di cui, essi, i giovinetti della Nunziatella, sono il fiore.

Giovanni  Ansaldo

 

Ritorno della Bandiera

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